Sipario!

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Guidava su strade che sapeva non esistere, per scappare da un amore che, invece, aveva creduto essere esistito davvero. Invece era virtuale, proprio come quell’asfalto. I danni, invece, no: quelli erano del tutto reali, e ormai gli era chiaro che per quanto a fondo avesse spinto il pedale dell’acceleratore, non sarebbe mai riuscito a lasciarseli alle spalle.

Eppure non riusciva a sfuggirgli l’ironia di quella situazione: il mondo che credeva dannatamente reale e certo si era sgretolato in modo talmente imprevisto e repentino che non avrebbe creduto possibile neppure per quell’altro, il virtuale.

Si avvicinava il Natale. Un altro, stupido, freddo, Natale. Una di quelle tante cose in cui lui non credeva. Però aveva creduto al calore di quel giorno passato in una famiglia… una famiglia vera: aveva compreso in quel modo che la famiglia e il sangue non hanno proprio niente a che vedere uno con l’altra.

C’è chi ci nasce, con la famiglia, e chi invece non ha neppure parenti attorno a sé. Poi c’è chi ce li ha, dei parenti, ma gli manca comunque una famiglia, e raramente può trovarne una. A lui era successo, e se n’era accorto così, quasi casualmente, una sera a cena. Una semplice cena, che però si trasformò in qualcosa di straordinario… quasi un’adozione, almeno per lui.

Loro non erano come lui li avrebbe progettati, e forse proprio per questo erano perfetti: in fondo non si ama l’altro per come si comporta, ma per ciò che è, e anche a prescindere da quello che ha da dare. Puoi dire di amare veramente qualcuno quando sei capace di vederne i difetti, eppure desideri ancora averlo accanto. L’amore, in fondo, è un incontro… e loro si erano incontrati. Così, una sera, a cena.

Non avrebbe più avuto un’altra occasione come quella, e lo sapeva perfettamente. Anzi, proprio per questo era maturato in lui quel senso di perdita. Totale, intenso, avvolgente. E irreparabile.

Capita spesso di perdere un partner, ma non altrettanto facilmente di perdere la propria famiglia, o perlomeno quella che si è manifestata come tale.

E pensare che, a vederlo da fuori, lui era sempre apparso come quello distaccato e restio alle occasioni sociali: quanto l’animo umano può essere abile a celare i suoi più intimi recessi, e perfino a dissimularli dietro ad apparenze opposte! Loro, per lui, c’erano sempre stati, “prima”. Poi, semplicemente, no. Gli avevano promesso il contrario, ma erano soltanto parole. Proprio come lei. Lei e loro: una famiglia. Non la sua.

Ora lui guidava su una strada solitaria. Quasi come quella volta negli USA… l’America’s loneliest road. Ma non era affatto solitaria, quando la percorse. Tutt’altro. Lei era lì al suo fianco. C’era tutto: c’era lei. E non mancava proprio niente. Ora, invece, poteva attraversare le piazze più affollate della sua città, e le vie gremite di persone intente nello shopping prenatalizio, eppure sentirsi completamente solo: il deserto, stavolta, non era fuori dal finestrino di un’auto che sfrecciava roboante sull’asfalto, ma dentro di lui. E da lì non dava proprio alcun accenno di volersene andare.

Più assisteva a quella frenesia, più maturava in lui il desiderio di fuggire via, lontano, e di tornare… non a quella strada solitaria, ma a quell’isola felice. La “loro” isola. Quella dove risiedevano alcuni dei ricordi più belli e dolci della loro storia. Quella che sembrava uscita da un film: sabbia bianca, acque cristalline e calde, cocco fresco raccolto dalle piante.

L’isola felice. Già. Così aveva intitolato quella canzone che le aveva dedicato. Una canzone. Proprio lui, che di cantare non se lo sarebbe mai immaginato. Eppure era arrivato perfino a quello, ma poco era cambiato. Anzi, se possibile, questo aveva soltanto spinto lei a prendersela ancora di più. Per cosa, poi? Questo lui non lo avrebbe mai capito.

Eppure sta di fatto che tutti quei gesti che lei aveva sempre ammirato, in lui, negli altri, e perfino al cinema, quando li ricevette furono soltanto motivo di astio.

Era come se il mondo si fosse capovolto, e tutto ciò che era stato bianco fosse diventato nero. Anzi, il nero aveva semplicemente pervaso tutto il quadro. Tutto il mondo, o, perlomeno, quello che gli si prospettava, si era trasformato in una sorta di buco nero dal quale – con buona pace di Hawking – nulla, ma proprio nulla, poteva sfuggire. Neppure un brandello di luce, o un pacchetto di fotoni, che potesse rischiarare l’orizzonte anche soltanto per un fugace istante.

Per un po’ si era sentito come Leonardo di Caprio, sulla prua del Titanic: il re del mondo. Poi aveva scoperto che quel mondo neppure esisteva. Proprio come Jack Dawson, non avrebbe mai raggiunto la Statua della Libertà: la sua nave era affondata, trascinando con sé i suoi sogni e la sua stessa vita.

In fondo poteva dire di aver vissuto abbastanza. Del resto, quanto è abbastanza? Il tempo necessario a realizzare il proprio scopo, se stessi. E lui ci era riuscito. Comunque era arrivato più vicino di quanto sarebbe mai stato possibile da quel momento in poi. Insomma, aveva vissuto, prendendo e dando ciò che aveva potuto, e forse anche di più. Comunque aveva vissuto. Aveva amato, soprattutto. E, per un po’, aveva addirittura creduto di essere amato a sua volta. Solo che l’amore non è qualcosa che si può accendere e spegnere come un interruttore. Proprio come aveva detto lei, giusto prima di donarsi a un altro e… spegnere per sempre quell’interruttore.

Buio.

Sipario calato.

Acta est fabula, plaudite.