CREDERE, SAPERE E CREDERE DI SAPERE

credenza

La maggior parte degli occidentali contemporanei non ha nessun dubbio a definirsi razionalista, o, perlomeno, razionale. Ratio in latino significa intelletto: ciò che conosciamo per via razionale si contrappone a ciò che, invece, accettiamo per via dogmatica.

Normalmente, almeno per un occidentale medio contemporaneo, l’atto di credere, e cioè confidare in modo a-razionale o irrazionale, è identificato con la fede religiosa, e, per ingenua giustapposizione, a tutto ciò che viene considerato trascendentale, cioè che trascende ciò che è percettibile ai sensi umani.

Il frutto avvelenato dell’Illuminismo razionalista è quello di aver accorpato, in un modo che tuttora risulta insuperato, spiritualità e religione: per effetto di ciò ancora oggi, poiché le credenze religiose si basano su dogmi di fede, si è portati a ritenere che tutto ciò che trascende la percezione immediata di alcuni dei sensi più importanti (in particolare la vista) debba essere accettato per fede, oppure  debba essere respinto per razionalismo.

Questa impostazione intellettuale (che in verità sembra assai più pertinente allo stomaco anziché al cervello) si risolve in alcuni evidenti paradossi, il più eclatante dei quali è il seguente: chi aderisce a culti dogmatici (religioni), privi di qualsiasi possibilità concettuale di indagine o di verifica, trova già a partire dalle costituzioni degli Stati ogni più ampia tutela e dignità. Per contro, quelli che esplorano con l’intelletto o con metodo sperimentale ciò che trascende il visibile vengono irrisi e ghettizzati.

Tu in cosa credi?” è un quesito destinato a esserci proposto numerose volte nel corso della vita.

Ma il nostro esistere in forma umana ha oppure no uno scopo? E, se ce l’ha, qual è?

Ho sempre ritenuto che rispondere a questi elementari quesiti rappresentasse la base dell’esperienza umana: vivere senza aver neppure determinato se esista uno scopo oppure no è un po’ come trovarsi in mezzo al mare e decidere di nuotare in una direzione convinti di arrivare un posto, senza però avere alcuna idea di quale posto sia e di dove si trovi. Così noi, senza aver sciolto i dubbi fondamentali, imprimiamo alle nostre esistenze percorsi, a volte precisi, a volte del tutto casuali, senza però avere minimamente alcuna idea atta a permetterci di stabilire quale sia il percorso corretto.

Uno dei luoghi comuni più diffusi vuole che nessun umano possa avere certezze su ciò che trascende il mondo fisico: quest’assunto ovviamente non ha nessun tipo di fondatezza, ma rappresenta semplicemente un pregiudizio poiché contiene in sé un giudizio assoluto, che, come tale, non può prescindere dall’analisi circostanziata di ogni singolo pensiero. È, insomma, un metodo sbrigativo e semplicistico per liquidare questioni di cui normalmente non si ha né si intende avere alcuna conoscenza.

L’effetto di millenarie tradizioni culturali e socio-religiose a lei svolti perfino grotteschi: nessuno di noi si fiderebbe a elargire un’ingente somma di denaro a uno sconosciuto incontrato per la strada dietro promessa che questi restituirà il doppio della somma. Eppure non abbiamo problemi a compiere scelte e decisioni per una vita intera basandoci sulla fiducia in qualcosa che ci è stato detto da altri, senza svolgere nessuna verifica autonoma.

Ecco, quindi, che laddove si potrebbe “sapere”, si ritiene impossibile qualsiasi cosa diversa dal “credere”. Ma una persona, libera e intelligente, come potrebbe accontentarsi di credere oppure non credere?

E, dal dominio delle credenze, per ciò che attiene la religione, si passa a quello delle certezze, per ciò che attiene al quotidiano e materiale, con il risultato di poter osservare lo stesso identico fenomeno ma stavolta invertito: fede che non ammette ragione nel primo caso, ragione che si presume scevra da fede, nel secondo caso.

Eppure nel nostro bombardamento quotidiano di opinioni, idee e informazioni, scegliamo continuamente di aderire a quelle degli uni e contrapporci a quelle degli altri, formandoci così convinzioni che riteniamo essere basate sulla ragione, pur rappresentando atti di fede. Quando apprendiamo una notizia, senza approfondirne le fonti e passarla al vaglio della logica e della critica, di fatto non stiamo esercitando alcuna razionalità, bensì mera fede o fiducia nei confronti di chi ci riporta quell’informazione.

Qualcuno obietterà che nella società dell’informazione sarebbe impossibile approfondire personalmente ciascun fatto o evento: ciò è senz’altro vero, ma concludere che dunque sia più opportuno assorbire fiduciosamente (o fideisticamente) tutto quanto è l’ennesimo semplicismo a cui la velocità e la frequenza delle interazioni quotidiane ci stanno assuefacendo ogni giorno di più.

Al contrario, dovremmo renderci conto di essere sovraesposti alle informazioni, e soprattutto chiederci quale sia l’utilità della maggior parte di esse: potremmo adottare un criterio di selezione assai elementare, dando la precedenza a tutto ciò che è fondamentale, quindi lasciar spazio ciò che è utile, ed eliminare l’inutile e il dannoso. Purtroppo lo scenario quotidiano vede un’assenza pressoché totale delle prime due categorie, e un’affermazione pressoché incontrastata delle ultime due.

Insomma, magari ignoriamo chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando, e come arrivarci, però conosciamo i più intimi risvolti delle relazioni sentimentali di governanti o celebrità. Difficile credere che la società, i nostri figli, i nostri parenti o amici, il nostro lavoro, ciò che lasceremo dietro di noi, possano avvantaggiarsi di quelle informazioni, che tuttavia calamitano la maggior parte delle nostre vite.

Eccoci dunque dinanzi all’ennesimo paradosso: tantomeno sappiamo, tanto più siamo convinti di sapere. La fede, applicata alle informazioni che riceviamo, ci porta alla bizzarra convinzione di “sapere” (anziché “credere”), finendo così per ammantare di razionalità qualcosa di completamente irrazionale, e dunque rivestire di certezza quell’atto di fede che, perlomeno per molti occidentali contemporanei, va sotto al limite di non poter comprendere o conoscere appieno ciò che trascende.

Tra credenze al posto di certezze e ignoranza vera e propria, o celata dalla presunzione di sapere, siamo gli unici a poter dare risposta alle domande essenziali, ma per farlo dobbiamo prima spogliarci di tutto ciò che non ci appartiene, e per riuscirci prima ancora occorrerà distinguere cosa ci appartenga e cosa no.

Le nostre vite possono essere quelle di operai che costruiscono palazzi altrui, oppure quelle degli architetti che li progettano: per alcuni sarà sempre molto più rassicurante restare operai, a chiunque accetterà la responsabilità di essere il proprio unico padrone avrà in cambio la libertà.