GIUSTO, SBAGLIATO E NORMALE

van gogh

La maggior parte di noi parla continuamente di cosa sia giusto o sbagliato, ma agisce quasi sempre scegliendo ciò che è normale.

Il nostro sistema morale è tendenzialmente binario: riusciamo a, oppure ci fa semplicemente comodo, distinguere tra buono e cattivo e le sfumature non ci piacciono poiché ci mettono in difficoltà e ci impediscono di praticare i facili giudizi di condanna o assoluzione a noi tanto cari.

Amiamo professare grandi principi, ma, soprattutto, esigiamo che chi ci governa, o ci guida, o gode di una posizione sociale di spicco, sia migliore di noi, nel senso che di fronte alla scelta tra bene e male sappia sempre praticare la prima.

In realtà esiste una profonda differenza tra scegliere in base al concetto di bene e male, oppure in base alla normalità: nel primo caso occorre essere artefici di un pensiero critico, mentre nel secondo è sufficiente limitarsi a recepire quello altrui (ammesso poi che di pensiero si possa parlare in tal caso).

Ritengo sia proprio in questo che risieda quella differenza che fa sì che alcuni, confrontandosi con altri, si sentano alieni, non riuscendo a trovare un sistema per intendersi: mi capita spesso di raccogliere le opinioni di persone che si sentono talmente incomprese nel quotidiano da non riuscire a identificarsi con i propri simili, o, perlomeno, con determinati contesti. La questione, invero, è molto più semplice di quanto si pensi: è soltanto che, mentre alcuni agiscono ponendosi dei dubbi morali e cercando di scegliere nel modo più corretto da un punto di vista etico, altri semplicemente si limitano a perpetuare la normalità, o, peggio ancora, a praticare l’equazione “normale = giusto.

A ben vedere la maggior parte dei conflitti scaturisce essenzialmente dall’elevazione delle abitudini a veri e propri valori, da cui, automaticamente l’attribuzione della qualità di disvalore a tutto ciò che è contrario a tali abitudini, cioè a-normale.

Il pensiero filosofico, una volta faro culturale e motore del cambiamento sociale, è oggi largamente responsabile di questa involuzione etica, poiché oggi giorno la qualifica di filosofo viene attribuita non già ai pensatori, bensì agli studiosi del pensiero altrui: da qui nasce l’equivoco dell’erroneo affidamento sociale nei confronti di chi, ben lungi dal possedere le virtù specifiche che gli vengono attribuite, è piuttosto specializzato in dissertazioni talmente spezzò cose da essere del tutto scollegate dalla realtà contingente.

Il mero tecnicismo e l’assoluta autoreferenzialità della filosofia contemporanea hanno largamente collaborato con i molti fenomeni concorrenti che, nei nostri tempi, spingono gli individui a essere sempre più oggetti e sempre meno persone.

Dunque, dicevamo, una filosofia che ha perso di vista gli aspetti essenziali dell’esistenza, per concentrarsi sui cavilli, e che pertanto non è in grado di fornire alcun supporto a una società in declino, ma che, al contrario, ne rappresenta perfettamente la cartina al tornasole.

Nel trionfo dei paradossi vediamo affermarsi la normalità quale principio etico largamente condiviso, senza che vi si opponga alcuna concreta alternativa, mentre le religioni (fortunatamente) allentano la loro presa sulle masse e la filosofia, come visto, è ormai su sentieri elitari, intenta a trastullare accademici in cerca di facili pubblicazioni e liberi pensatori che, irretiti dai luoghi comuni, se ne interessano, credendo così di elevarsi.

Come riscattarci da tutto questo?

In primo luogo occorre fare estrema chiarezza: il concetto di normalità non è in alcun modo correlabile con il valore o il disvalore morale. In altre parole, il semplice fatto che qualcosa sia normale o non lo sia, non indica alcunché dal punto di vista morale: la nostra abitudine o la diffusione di un costume non rappresenta un indice atto a discriminare tra cosa è giusto e cosa non lo è. D’altronde il concetto di normalità è del tutto arbitrario e soggettivo, e non varia soltanto da persona a persona, bensì anche tra popoli, etnie e gruppi differenti: è evidente che, un po’ come per le religioni, a meno di non ritenere che esista una sola normalità giusta e che tutte le altre siano sbagliate (e che, magari, quella giusta sia proprio la nostra), occorre concludere che non potendosi considerare tutte giuste, devono essere tutte parzialmente giuste e parzialmente sbagliate.

A questo punto è necessario fare tabula rasa e mettere in discussione qualsiasi cosa, che ci piaccia o no.

Certo è che pretendere di rapportarsi con qualcuno che adotta la morale della normalità come principio ispiratore, proponendo una riflessione etica più profonda, significa porre a confronto non soltanto argomenti ma vere e proprie mentalità differenti: la comprensione di questo semplice meccanismo rappresenta un momento necessario preliminare rispetto a qualsiasi dialogo tra approcci così diversi.