“Ipse dixit!” (“l’ha detto lui stesso”): con queste parole, nel medioevo, si zittiva chiunque non avesse condiviso un’opinione, riportandosi alla parola “sacra” di Aristotele, che nessuno avrebbe potuto sognarsi di contestare.
Un dogmatismo da cui la filosofia, per definizione, dovrebbe essere immune: un pensiero, per quanto preciso, analitico e corretto, può sempre essere rimesso in discussione da altri pensieri e argomenti.
Intellettualmente parlando l’ipse dixit non si discosta tanto dal “Dio lo vuole!” che animava i crociati, e non è probabilmente un caso che entrambe le espressioni siano prosperate nel medioevo, in pieno oscurantismo intellettuale.
Io non credo ai cambiamenti repentini, o, perlomeno, li reputo statisticamente improbabili: che il bisogno di dogmi sia improvvisamente venuto meno in così tante persone, mentre il medioevo cedeva il passo all’età moderna e ai suoi “lumi”?
Probabilmente quel bisogno non è venuto meno, ma è semplicemente stato ri-orientato e la fede ha soltanto cambiato destinatario: oggi si verifica l’oscurantismo scientifico, in contrapposizione a quello religioso.
Ma questa non è vera scienza, poiché, se lo fosse, si ispirerebbe al precetto socratico “so di non sapere”, anziché al medievale e oscurantista “ipse dixit”: il primo offre un approccio aperto, curioso, esplorativo e senza pregiudizio alla realtà, mentre il secondo è un sistema autoreferenziale viziato in origine, in quanto muove a partire da se stesso alla ricerca di mere conferme, respingendo aprioristicamente ciò che sta all’esterno.
È un circolo vizioso, uno dei tanti cui la vita ci abitua: si afferma che qualcosa non ha validità in quanto “non scientificamente provato”, ma come provarlo scientificamente se lo si respinge a priori?
Non è scienza quella che si barrica dietro a un sapere che per forza di cose è limitato e parziale, negando a priori tutto ciò che non è (ancora) in grado di spiegare.
La scienza elevata a divinità e le sue leggi a sacre scritture: su questo dogma naufraga qualsiasi tentativo dell’essere umano, creatura complessa e multiforme, di evolvere, di acquisire consapevolezza e di comprendere realmente il senso delle cose e dell’esistenza, diviso tra la superstizione religiosa e quella scientifica, illuso di sapere tutto quanto vi sia da sapere o rassegnato a non potersi spingere oltre i limiti imposti.
L’intellettuale, il libero pensatore, il ricercatore della verità, acquisisce le informazioni ed elabora pensieri, mentre rifugge etichette e stereotipi, che, banalizzando l’essere, lo riducono a modelli semplificati e del tutto incapaci di conferire quella conoscenza di cui si è alla ricerca.
Sta a noi scegliere cosa vogliamo essere: schiavi di fede, o ricercatori di verità?