Scopo di questo articolo è dimostrare che le definizioni di specismo, razzismo, sessismo e molte altre analoghe sono infondate e dannose, o, meglio, controproducenti rispetto ai fini dichiarati.
Iniziamo con una analogia: chiunque abbia guidato un’automobile in curva, specie nelle rotatorie che sempre più minacciose affollano le strade, ha esperienza del fenomeno della cosiddetta “forza centrifuga”, cioè quella spinta verso l’esterno della circonferenza ideale che rappresenta il moto. Chiunque abbia studiato un minimo di fisica rammenterà che la forza centrifuga è una forza apparente, cioè non esiste: esiste una forza centripeta, ossia diretta verso il centro della circonferenza.
Ciò che spinge a considerare esistente la forza centrifuga è soltanto un punto di vista parziale, cioè una prospettiva viziata, non oggettiva: lo stesso avviene con le classificazioni psicologiche o comportamentali di cui si discute.
Ci sono, è vero, delle credenze radicate o delle vere e proprie ideologie, che determinano condotte orientate di conseguenza: l’ideologia nazionalsocialista, per esempio, promuoveva letteralmente la distruzione di taluni gruppi, e agiva di conseguenza.
Fuori di casi tanto eclatanti (e forse anche in alcuni di questi) e ben connotati da atti politici e giuridici, il reale vivere quotidiano non è improntato alla promozione di simili “ideali”, bensì a questioni molto più contingenti: immigrati contestati poichè ritenuti colpevoli di “rubare il lavoro” o di delinquere, animali non umani utilizzati per appagare velleità di vario genere, donne viste da uomini come oggetti o faccendiere, etc.
Il vivere quotidiano, a ben vedere, non è poi così denso di portati ideologici o idealistici, quanto – piuttosto – di più o meno banali tentativi di affermare se stessi e i propri interessi (o quelli dei propri cari) soverchiando l’altro, chiunque esso sia.
Quando, per esempio, ci troviamo in fila per effettuare un qualsiasi adempimento burocratico, non vorremmo essere i primi della fila in quanto disprezziamo gli altri che stanno facendo lo stesso iter, bensì semplicemente poiché li consideriamo degli ostacoli rispetto al nostro interesse.
Il nostro interesse è che noi guadagniamo di più, che noi arriviamo primi, che noi abbiamo la casa o l’auto migliore, etc. Non ci turba realmente che altri guadagnino bene o facciano file brevi o abbiano belle auto, bensì che guadagnino più di noi, facciano file più brevi o abbiano auto più belle.
La maggior parte delle rivendicazioni che portiamo avanti, perfino quando ci ammantiamo di altruismo, è in realtà espressione di profondo egoismo: diveniamo ambientalisti quando toccano il parco sotto casa, animalisti quando introducono l’obbligo della museruola per il nostro cane, pro ricerca sul morbo che ha colpito noi o i nostri cari, democratici quando siamo parte del popolo vessato, etc.
Insomma, in una parola, come la forza centripeta è quella reale, a fronte di quella apparentemente centrifuga, così l’egoismo è la ragione profonda che determina tutti quei comportamenti denominati in vario modo a causa di prospettive limitate e limitanti.
La prova è talmente banale che probabilmente non viene nemmeno presa in considerazione: razzista verso un’etnia non è mai qualcuno che vi appartiene, così come si è specisti o sessisti sempre nei confronti dell’”altro”.
La società non è specista, razzista e sessista: è semplicemente egoista.
Gli effetti dell’egoismo dilagante sono manifesti nelle piccole, come nelle grandi cose: dal fumare all’acquistare beni inutili senza considerarne l’impatto, dal mangiare al bere, allo sfruttare i più deboli, etc.
Suddividere, classificare, schematizzare e analizzare partitamente questa miriade di “ismi” non è soltanto inutile, ma è gravemente dannoso: in primo luogo implica il suffragio di una prospettiva dualista, avallando l’esistenza di quelle stesse differenze che apparentemente si negano.
Fossilizzarsi sulla trattazione separata di un numero indefinito di questioni implica inoltre perdere di vista il vero problema, e dunque impedisce di affrontarlo: ciò provoca una frammentazione delle energie e una confusione su questioni di per sé semplici e moniste.
La storia più recente è ricca di esempi, spesso considerati nobili, di persone che sono assurte a grande fama e prestigio per aver condotto importanti battaglie contro singole manifestazioni dell’egoismo umano: in realtà dovremmo guardare queste figure come persone inconsapevoli, o soltanto parzialmente consapevoli, in quanto capaci di distinguere l’egoismo nei confronti di un’etnia umana ma non quella di tutti gli umani nei confronti dei non umani, e, anzi, perpetrandolo a loro volta.
Se immaginiamo la società come una nave e ogni “ismo” come una falla nello scafo, vediamo come sia complesso e improbabile riuscire a sigillarle completamente, concentrandosi su una alla volta: la nostra consapevolezza limitata ci spinge a considerare quelle falle, non già sintomi di uno scafo difettoso, bensì problemi in se stessi, risolvibili isolatamente.
Ma quando nello scafo si aprono continuamente falle non si può sperare in una navigazione sicura: occorre ripensarlo e intervenire sulla causa, non sui sintomi.
Il superamento dell’egoismo si può basare su molte considerazioni, non ultime l’esatto inquadramento della correlazione di tutti gli interessi e del senso reale delle cose[1].
L’obiettivo dell’Eusebismo – filosofia del rispetto – è proprio quello di unificare concettualmente tutte le questioni che rendono la convivenza improntata alla logica egoistica, al principio del più forte, del mors tua vita mea, e superare quelle discriminazioni che perfino le teorie apparentemente antidiscriminatorie ingenerano e avallano.
A ciascuno di noi sta scegliere se promuovere isolati cambiamenti su questioni isolate, auspicando che tra secoli o millenni tutti questi sforzi, sommati, abbiano determinato una trasformazione duratura e complessiva, oppure se adoperarsi da subito per promuovere l’unica consapevolezza che, in quanto onnicomprensiva, può rimuovere quei confini e pregiudizi alla base di tutte le discriminazioni.