ETICA DELLA SALUTE

etica salute

La maggior parte delle teorie morali prende in considerazione il comportamento nei confronti delle altre persone, tacendo o dando per scontato che non esista un comportamento “immorale” verso se stessi; non così l’Eusebismo, che invece adotta un approccio olistico.

In verità il percorso logico che porta a considerare ricompreso fra i doveri morali anche il rispetto verso se stessi è abbastanza banale e dovrebbe essere la naturale conseguenza di tutte le filosofie che contestano le discriminazioni: se è vero che non c’è differenza tra “me” e “altro da me”, e se non è morale danneggiare chi è altro da me, allora non può essere morale neppure danneggiare me stesso.

Il seme della discriminazione e l’illusione della separazione e diversità sono retaggi duri a scomparire nelle nostre menti, che, educate all’ombra di una cultura figlia del materialismo illuministico, continuano a dare per scontate come realtà quelle che sono semplici ipotesi o veri e propri errori.

Dalle religioni alle filosofie umaniste si è praticamente sempre dato valore al precetto “rispetta l’altro come te stesso”, presupponendo che ciascuno tuteli in primo luogo sé, poi gli altri; ma che cosa accade allorchè ciò non si verifica? Siamo dinanzi a un paradosso: se io ritengo la morte una liberazione per me, sono dunque autorizzato a uccidere altri? Se io ritengo corretto subire violenza, posso perpetrarne? In termini morali la risposta logica sarebbe “sì”, se si adottasse la premessa dell’assenza di vincoli morali verso se stessi: se io sono esente da obblighi di rispetto nei miei stessi confronti, allora posso mancare di rispetto anche a tutti gli altri.

In realtà la corrispondenza IO – ALTRI deve funzionare a doppio senso, altrimenti non funziona affatto: da ciò la necessità di includere l’agente fra i soggetti rilevanti all’interno di una teoria morale, dovendo concludere che un’azione è morale se, oltre che per tutti gli altri, lo è anche nei suoi confronti.

Ritengo che laddove si intenda affermare il diritto dell’individuo di disporre di sé illimitatamente si finisca per determinare e legittimare una discriminazione, che – seppure inversa –  è concettualmente identica a quelle che storicamente hanno avallato i conflitti e gli stermini.

C’è, poi, un secondo argomento a favore dell’etica di sé, che peraltro si ricongiunge – almeno parzialmente – alla dissertazione in proposito compiuta da Socrate ne “L’Alcibiade” di Platone: non ci si può prendere cura di altri se non si è capaci di curare se stessi. Anche questo è un fatto alquanto logico, anche se lo definirei più indiziario che probatorio: non è possibile escludere che qualcuno sappia organizzare gli altri meglio di se stesso. D’altronde le osservazioni platoniche non si fermano, ma proseguono soffermandosi sulla profonda necessità di comprendere, ascoltare e pacificare se stessi, quale esigenza imprescindibile per conseguire una condizione di equilibrio.

Vero è che siamo in un sistema chiuso e che, per quanto ciò possa non sembrarci a causa della nostra limitata prospettiva, ogni azione od omissione ha delle conseguenze per tutti gli altri, il che mi porta a sviluppare il terzo argomento: il rispetto di sé quale esigenza fondante il rispetto per gli altri.

Se è vero che la sorte di ciascuno di noi influenza altri, allora gli interessi si sovrappongono e non sono separabili: mancare di rispetto a uno ma non agli altri sarebbe a questo punto impossibile.

Immaginiamo di avere libera disponibilità assoluta di noi stessi e di volerci togliere la vita: ciò affliggerebbe i nostri congiunti, magari priverebbe qualcuno del sostentamento. Sicuramente precluderebbe ad altri il bene che, in una condizione di equilibrio, dovremmo conferire (e ricevere).

Al di là della morte ci sono comunque moltissime malattie, che oggigiorno sembriamo specializzati nel procurarci: esse non provocano soltanto tristezza nei congiunti prossimi, ma veri e propri danni, gravando sulla collettività.

Oltre ai precetti della logica e alle considerazioni prettamente materiali e materialistiche, ritengo non sia da trascurare neppure l’aspetto metafisico: l’esistenza nell’universo olografico si basa sulla separazione e sull’individualismo, ma sul piano reale questi concetti non esistono.

Il concetto della morale materialistica in base al quale tutti siamo simili, dunque nessuno è diverso, assume una differente formulazione nella morale metafisica, assurgendo a identità: siamo tutti uno, quindi è impossibile danneggiare uno senza danneggiare tutti.

Nella definizione “tutti” non alludo soltanto agli umani, ma vi considero inclusi anche gli animali non umani e l’ambiente.

CONCLUSIONI

Una volta assunta consapevolezza di sé quali elementi di un sistema interconnesso e interdipendente, l’effetto primario sarà quello di svuotare di significato le distinzioni, considerandole soltanto apparenti e virtuali; ma alla coscienza di sé consegue la comprensione profonda dell’equilibrio su cui tutte le interazioni si basano, da cui la necessità di equiparare il rispetto nei confronti di chiunque.

“Fumo poiché tanto danneggio solo me”, “bevo perché della mia salute non mi importa”, e altre considerazioni analoghe sono frutto di una prospettiva fondata ancora sulla discriminazione e sulla scarsa consapevolezza di sé.

Per tutte queste ragioni la filosofia Eusebista riconosce alla tutela della salute e al rispetto nei confronti dell’agente le medesime qualifiche morali riferite al rapporto con gli altri, quindi doveri del tutto analoghi.