DIALOGO SUL PASSATO DAL FUTURO

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–        Dopotutto siamo ancora qui. È molto curioso, non trovi?

–        Non direi affatto. Anzi, è piuttosto normale che io e te ci troviamo dove abbiamo deciso di trovarci.

–        Non mi riferivo a noi due, ma a tutta l’umanità.

–        E dove altrimenti dovrebbe essere? Tutta trasferita nelle colonie galattiche?

–        No di certo, anzi. È curioso che l’umanità sia sopravvissuta abbastanza a lungo da riuscire a fondarle, quelle colonie!

–        Ho capito: ti riferisci alle guerre che hanno attraversato la nostra storia?

–        No, affatto.

–        Allora, mi spiace, non riesco a comprendere: spiegati meglio, ti prego.

–        È molto semplice: le guerre, o, meglio, i conflitti, hanno sì attraversato una gran parte della storia dell’umanità, ma hanno contribuito a ristabilire l’equilibrio.

–        Equilibrio? Quindi vorresti affermare che le guerre fossero un bene?

–        No, tutt’altro, ma neppure molte altre scelte dei nostri predecessori lo sono state, ed è da quelle che sono scaturite le tensioni poi sfociate in conflitti. A conclusione dei conflitti si sono creati nuovi equilibri: è stato un cammino lungo e travagliato, che ha permesso infine di comprendere anche quanto quei metodi fossero sbagliati. Non un bene. Un male necessario, forse.

–        Ora capisco cosa intendi dire. In effetti ci siamo liberati della guerra non quando abbiamo creato le armi più potenti, ma quando ce ne siamo disfatti: è stato un cammino di consapevolezza, maturata attraverso l’esperienza.

–        Già, del resto non nasce proprio da questo la consapevolezza? Dalle esperienze.

–     Ma dimmi, se non ti riferivi alla guerra, quale altra azione avrebbe dovuto distruggerci?

–        Ricordi l’età di transizione nota come “Rivoluzione informatica”, venuta appena dopo la cosiddetta “Rivoluzione Industriale”?

–        Sì, ricordo di averne appreso, ben più di un secolo fa, ma da allora raramente mi è capitato di parlarne e di certo non ci avrei più pensato ancora a lungo se non me l’avessi ricordata tu in questo momento. Perché pensi che sia così importante?

–        Vedi, è stato proprio in quel periodo che l’umanità ha raggiunto l’apice massimo del distacco dalle sue origini e dalla sua natura. È stata l’età delle macchine, e del consumismo.

–     Non ricordo il significato dell’ultimo termine che hai usato, ma ricordo bene le macchine e le loro conseguenze: per qualche tempo devono aver creduto che la meccanica avrebbe avuto il sopravvento sulla biologia, come con la storia dei “robot”.

–        Esattamente: quando ancora non erano chiari il concetto né l’origine della vita, si cercava di emularla attraverso quelle macchine chiamate robot, nella convinzione che avrebbero rappresentato l’evoluzione dell’essere umano.

–        Certo, non avevano ancora compreso che le entità biologiche rappresentano l’apice dello sviluppo “tecnologico”. Ma alla fine l’hanno capito.

–        Dici il vero, ma per riuscirci sono occorsi alcuni secoli e molti errori, che sono costati carissimi, in particolare per quella cosa chiamata “consumismo”.

–        Sii gentile, ricordami il significato di questa parola.

–     È stato il tempo in cui le persone accumulavano oggetti, o, peggio ancora, li prendevano per poi disfarsene.

–        Non comprendo: come potevano avere interesse a prendere qualcosa soltanto per disfarsene?

–      Ovviamente non era per quella ragione che li prendevano, ma si utilizzava l’espressione “usa e getta” per definire quel fenomeno: ad esempio l’acqua si trovava in contenitori che una volta svuotati venivano gettati.

–        L’acqua in contenitori? Vuoi forse scherzare? E perché mai avrebbero dovuto farlo? Non avevano corsi d’acqua, oppure tubature, o sintetizzatori?

–        Certo, avevano corsi d’acqua ma erano contaminati, inquinati. Non avevano invece i sintetizzatori, ma le tubature sì, almeno in certe parti del mondo. Ebbene, molti storici si interrogano ancora oggi sul motivo per il quale la maggior parte delle persone utilizzasse contenitori inquinanti e costosi anziché l’acqua già disponibile in casa.

–        Incredibile. Ma tutto questo pericolo di cui mi parlavi, dunque, solo per l’acqua in contenitore?

–        No, affatto: il problema è che quella società aveva sviluppato una tecnologia sufficiente per sfruttare pressochè tutte le risorse del pianeta, ma non abbastanza da trattare le conseguenze di quello sfruttamento. Inoltre mancava loro la consapevolezza di ciò che stavano facendo, quasi che vivessero senza pensare che ci sarebbe stato un futuro.

–        Ma chi realizzava queste cose, nate per essere buttate? E perché, se gli effetti erano tanto devastanti?

–        I soldi: è per questo che molti erano interessati a quel sistema.

–        È chiaro! Avrei dovuto ricordarmelo, che a quei tempi si lavorava soltanto per i soldi. Ma non comprendo a cosa servissero.

–        Erano uno strumento, o, almeno, per questo erano nati; tuttavia penso che già dopo poco dal loro avvento fossero divenuti un fine per molti, il cui scopo era semplicemente accumularli.

–        Ecco, ora sei tu che ti contraddici però: come potevano accumulare soldi se, come hai affermato, tutto ciò di cui si circondavano era di breve durata?

–        Dici bene; infatti era un circolo vizioso, poiché dovevano continuamente spendere soldi per sostituire ciò che consumavano, e addirittura avevano inventato una cosa chiamata “mutui”, che permetteva loro di comprare cose con soldi di altri, e poi restituire con il tempo ancora più soldi, così che chi li aveva anticipati potesse a sua volta guadagnarci.

–        Ma per quale motivo le persone di quel tempo non decidevano di comperare soltanto il necessario e ciò che poteva durare per tutta la vita?

–    Forse, semplicemente, vivevano nel presente e il loro presente era fatto di cose consumabili e da sostituire continuamente, così come soltanto alcuni secoli prima i pochi oggetti che ciascuno aveva posseduto l’avevano accompagnato per la vita intera, o quasi. Forse, mano a mano che le generazioni scorrevano e i più anziani scomparivano, con essi veniva meno anche la memoria di quei tempi passati.

–       Comprendo ciò che dici, eppure mi riesce molto difficile condividere la logica di quelle persone, che vivevano per accumulare qualcosa che non accumulavano mai, facendo lavori che non amavano soltanto per acquistare oggetti che non servivano, o che sarebbero potuti bastare per vite intere e invece duravano poco, o niente. Non sarebbe stato più facile vivere senza il denaro, proprio come ormai da tempo immemore facciamo noi?

–        Di certo, avrebbero potuto, ma mi domando se quel loro denaro non fosse lo stimolo necessario per invogliarli a fare qualcosa delle loro vite, anziché starsene, inoperosi, a vederle trascorrere.

–        Eppure vedi che oggi nulla di tutto ciò accade: ciascuno fa quel che fa per aspirazione personale, per altruismo, poiché sa di essere parte di una comunità che si fonda sull’equilibrio.

–     E’ senz’altro così, ma dovresti sapere che l’animo umano è molto cambiato nel tempo, e probabilmente non è evoluto verso valori più alti per aver abbandonato i soldi e il desiderio di beni materiali, ma piuttosto queste scelte sono conseguite alla nuova consapevolezza che, piano piano, si è andata diffondendo e che ci ha consentito di svincolarci da quelle necessità effimere.

–        Probabilmente ho commesso il loro stesso errore, ragionando sul mio presente senza calarmi nel passato.

–        È facile vedere ciò che ci sta dinanzi, ma occorre giusto un po’ più di attenzione per guardare indietro, e apprendere da ciò che è stato. Per questo trovo molto interessante quel periodo, breve eppure così intenso e critico per l’umanità.

–       Già, l’epoca delle macchine, del denaro e dei beni materiali. Ma le macchine non erano nate per migliorare la società?

–        Forse inizialmente lo scopo era quello, ma ben presto fu evidente che avevano scoperchiato quello che gli antichi chiamavano “vaso di Pandora”, e dall’affiancare l’uomo nei compiti più gravosi le macchine avevano finito per essere lo strumento attraverso il quale pochi si arricchivano creando oggetti utili ma non duraturi, oppure addirittura del tutto inutili. Non fu, insomma, l’avvento delle macchine in sé a determinare il disastro ecologico, sociale ed economico, ma l’uso che ne venne fatto. Dapprima venne l’epoca delle macchine, quindi quella della produzione industriale, che iniziò ad abituare le persone a lavori che non avrebbero mai immaginato di voler fare prima, ma che gli servivano per guadagnare soldi. Mano a mano che le macchine sostituivano le persone, pochi potevano controllare risorse sempre più ingenti: cibo, acqua, materie prime. Fu così che l’uomo perse del tutto la sua capacità di sopravvivere autonomamente nel mondo, di procurarsi da sé il cibo o ciò che gli occorreva per vivere.

–     Eppure anche la capacità di spostarsi ed esplorare il mondo dipendevano dalle macchine: automobili, aerei, treni. Non è forse grazie ad essi che l’uomo ha potuto costruire una cultura globale e accorciare le distanze. Come avrebbero potuto spostarsi altrettanto velocemente senza possedere la tecnologia che abbiamo sviluppato soltanto secoli dopo?

–        Non so dirti come sarebbe stato il mondo senza quelle macchine, ma di certo posso garantirti che la globalizzazione (un altro concetto nato in quel periodo) delle macchine e del danaro è ben lontana da quella delle anime e della cultura che oggi accomuna noi ai nostri fratelli in ogni parte del mondo. Allora non c’era fratellanza, ma profitto, ad alimentare tutto ciò: ove non c’era domanda, la si creava. Erano anche i tempi della pubblicità, in fondo.

–        “Pubblicità anima del commercio”: non era questo il motto dell’epoca? Vedi, perfino io sono in grado di rammentare qualcosa della storia antica!

–     E lo era molto più di quanto forse non credessero quelli che la utilizzavano: da strumento per farsi conoscere, era ben presto evoluta in mezzo per creare esigenze fittizie, artefatte. Vedi, tu ed io siamo consapevoli di noi stessi e del nostro essere più profondo, poiché siamo il prodotto di una società che ha trovato il senso delle cose, dell’esistenza, della vita e della morte: potrei provare a convincerti in molti modi che tu abbia bisogno di una macchina che possa svolgere un lavoro per te, o di un oggetto materiale qualsiasi, ma tu sapresti apprezzare da te la sua utilità o inutilità. I figli di quel tempo erano, per così dire, confusi: avevano trovato la capacità di mettere in discussione alcuni dei falsi idoli del loro passato, ma non avevano compreso che non era venuta ancora meno in loro l’esigenza dei ricettacoli, veri e propri feticci per dare alla vita quel senso che sembrava perduto. Il materialismo per un lungo periodo doveva essere apparso una soluzione vincente per abbandonare le superstizioni del passato: soltanto l’esaurimento delle risorse e la devastazione ambientale hanno portato alla comprensione e a quel terremoto delle coscienze che ha prodotto, infine e non senza esitazioni e perfino occasionali passi indietro, la consapevolezza.

–        Dunque secondo te quell’epoca era caratterizzata da mostri, egoisti, approfittatori e contraffattori?

–        No, al contrario! Pochi agivano in mala fede: i più erano soltanto inconsapevoli, o perlomeno non si erano confrontati con se stessi e si erano limitati ad aderire acriticamente a una civiltà in declino. Per questo erano manipolabili da quelli che agivano in malafede, tanto da rendersene quasi complici: comperavano alimenti che non erano realmente cibo, bibite che non dissetavano, fumavano, inquinavano l’aria che respiravano, i fiumi, gli oceani, e addirittura si dividevano in fazioni per seguire questo o quel produttore, e si identificavano in simboli chiamati “marchi” come se fossero stati partiti politici o ideologie religiose. Usavano sostanze di sintesi per produrre più vegetali, avvelenando se stessi e tutte le altre specie e la stessa terra. Torturavano altri animali per trarre nutrimento, come ci eravamo tramandati dai neanderthaliani, e chiamavano pazzi quelli che avevano ritrovato le reali necessità alimentari dell’uomo. Svuotavano i mari con reti più grandi di intere isole, soltanto per poter ricavare un profitto dagli animali pescati.Dividevano la terra in parti che sottraevano a tutti gli altri per consentire ad uno soltanto di disporne, e chiamavano questo “diritto di proprietà”: in questo modo chi aveva abbastanza soldi poteva radere al suolo foreste, sventrare montagne, o addirittura accaparrarsi isole intere. Seguivano politici che governavano piccoli stati, eleggendoli periodicamente e lamentandosene costantemente: in questo modo avevano sempre qualcun altro da incolpare per la loro incapacità di intervenire su se stessi.

–        Non avrei mai pensato che avessimo fatto così tanto, così a lungo, contro noi stessi. Come è stato possibile non accorgersi delle conseguenze?

–        Ammetto che anche per me è difficile dire se realmente quelle società non avessero colto le implicazioni delle loro azioni, oppure se semplicemente fossero incapaci di cambiare: in fondo erano anche le epoche delle dipendenze. Ti dirò una cosa che sembrerà incredibile, ma quando compresero che molte delle cose che facevano erano pericolose, perfino letali, le loro leggi non le vietarono, ma si limitarono a imporre a chi le vendeva di avvisare dei pericoli.

–        È veramente incredibile, ma quei venditori avranno di certo dovuto cessare le attività in breve, dopo l’approvazione di simili leggi.

–        Ascoltami: è proprio questa la cosa incredibile, cioè che nonostante gli avvertimenti le persone continuarono a comperare veleni, droghe che generavano dipendenze, falsi cibi come carni animali e perfino secrezioni come latte e miele. Anzi, erano anche disposti a spendere più soldi, quando questi prodotti vennero tassati.

–        Ti prego di perdonare la mia ignoranza, ma cosa significa “tassati”?

–        In verità quello delle tasse era un costume antico già a quell’epoca, vecchio forse quasi quanto il denaro, se non perfino di più. Le comunità organizzate imponevano a ciascuno di pagare una parte dei propri guadagni per finalità condivise, come la gestione degli spazi comuni, le cure mediche, l’esercito, la polizia e molte altre cose.

–        Avevo quasi dimenticato l’esistenza delle malattie, che affliggevano i nostri antenati, ma di certo ricordo bene le armi che hanno quasi distrutto il mondo così tante volte.

–      Anche in questi casi la tecnologia era sembrata la soluzione migliore: in campo medico, anziché cercare le vere cause e soluzioni, era invalsa la pratica di offrire rimedi provvisori e inefficaci; riguardo alle guerre, poi, gli eserciti di persone avevano lasciato spazio a missili, bombe, aerei, carri armati, poi droni e droidi, finchè anche i conflitti erano divenuti virtuali e con pochi bottoni si controllavano le sorti del mondo.

–        Mi domando come potessero trovare tante ragioni di conflitto, gli uni con gli altri. E perché oggi noi non ne abbiamo alcuna?

–     Potrei elencarti miti e leggende o anche isolate verità, come le guerre sorte per conquistare risorse naturali e poi passate alla storia come guerre di liberazione (probabilmente ai politici di quel tempo occorreva una giustificazione morale nei confronti dei loro popoli), ma la verità risiedeva all’interno dell’animo umano, non fuori di esso.

–        Che cosa intendi dire?

–        Che l’egoismo e il materialismo spingeva le persone a volere più cose e più degli altri, quindi anche ad eleggere capi politici che promettevano ciò, e lo coltivavano a loro volta: una società in fondo non è altro che la somma degli individui che la compongono, e dunque chi governava era pur sempre figlio del proprio tempo, eletto da suoi simili.

–     Gli stessi che lavoravano costantemente per procurarsi cose inutili o veri e propri veleni.

–        Proprio loro! Gli stessi che creavano strade e automobili per percorrerle, illudendosi che le scoperte e la comprensione fossero fuori di sé. Quelli che portavano i soldi che avevano guadagnato con tante fatiche in posti che chiamavano banche, fino a renderle così potenti da controllare le loro vite, influenzandole tanto che perfino il loro umore dipendeva dalle scelte economiche dei banchieri: molte persone si sono tolte la vita quando si sono verificati quei tracolli finanziari noti come “crisi”, e tante altre hanno sofferto, poiché ormai la loro idea di felicità era così legata a quella di ricchezza e accumulo materiale da non lasciargli altra strada, né speranza di essere liberi.

–        Eppure avrebbero potuto: sarebbe stato così semplice riprendersi le loro vite. Erano così tanti gli abitanti del pianeta, a quel tempo: che cosa mai avrebbero potuto inventarsi i banchieri o i governanti, per resistere alla volontà popolare?

–        La tua domanda contiene in sé la risposta: vedi bene che se fosse stata reale volontà di quei nostri antenati emanciparsi dai loro sfruttatori, avrebbero potuto senza dubbio riuscire in brevissimo tempo. Ma quelli non erano usurpatori dell’ordine costituito, assurti alle loro cariche con rivoluzioni violente, bensì persone comuni del loro tempo che incarnavano le esigenze della società. Una società che preferiva avere qualcuno da colpevolizzare e logorare se stessa, anziché assumere ciascuno il controllo di sé ed evolvere. Non si può scegliere governanti saggi e disinteressati se non lo si è a propria volta, né tantomeno fare a meno di essi.

–        Però alla fine ci siamo riusciti. Intendo dire, noi siamo pur sempre i loro discendenti e abbiamo portato a compimento il cammino dell’evoluzione, o perlomeno abbiamo compreso l’equilibrio, il rispetto e l’armonia. Forse quei tempi sono stati necessari per acquisire la consapevolezza.

–      È proprio così, ed è sempre stato nei momenti di crisi che sono scaturite quelle scintille, che hanno permesso di evolvere, finchè non ci è stato chiaro che gli eventi non sono mai casuali, bensì tutti preordinati all’unico scopo di fare esperienza, da cui attingere consapevolezza.

–        Quindi anche questo nostro dialogo non è casuale e può avere avuto importanza per noi due.

–        Di certo ne ha avuta per me, mentre mi accontento di sperare che non sia stato un tedio per te.