I GIOVANI (NON) SONO LA SPERANZA DEL FUTURO

GIOVANI

I luoghi comuni, generalmente, sono trappole per il pensiero, o, perlomeno, divani sui quali adagiarsi per non correre il rischio di doversi sforzare a ragionare. Di solito le cose che dicono tutti vengono ripetute in modo rituale e acritico: non perché ci sia mai stata una riflessione individuale e spontanea, ma soltanto perché… se lo dicono in tanti dev’essere così!

E, dunque, che cos’è che rende i giovani tanto speciali? Soprattutto una cosa: l’esser distanti dal mondo dell’economia, e, quindi, del lavoro.

Senza lavoro ci si può concentrare su se stessi, sui propri obiettivi umani e personali, sulle proprie aspirazioni, sui rapporti sociali, sugli interessi e perfino sulle fantasie.

La nostra – si sa – è una società schizofrenica. E, così, mentre da un lato istiga gli adulti a idolatrare i giovani e a guardarli come entità sovrannaturali capaci di rimediare ai mali del mondo, dall’altro lato questi ultimi li inquadra, fin dall’età scolare. Con l’educazione scolastica si iniziano a omologare gli individui, a trasmettere informazioni selettive, e, altrettanto selettivamente, a ometterne.

La televisione e la pubblicità, sfondo costante delle nostre vite moderne, compiono un bombardamento quotidiano, inculcando solo apparentemente messaggi differenti. In realtà il messaggio è sempre lo stesso: spendi! Ma per spendere occorre prima guadagnare. Quindi lavorare.

Quello che non dovesse fare l’azione combinata delle istituzioni e della società lo completa la famiglia: sottogruppo sempre meno influente, ma che fa da corollario più che adeguato di tutto il resto. Si parte con i regali, prima lezione di consumismo e di apprezzamento economico dei sentimenti, e si continua con la trasmissione di credenze e osservanze mai veramente scelte, ma semplicemente tramandate di generazione in generazione, in base ai confini geografici: così, chi vive in Italia insegnerà ai propri figli la religione cattolica e a seguire il calcio, mentre chi vive negli Stati Uniti trasmetterà una religione protestante e il football, e così via. In fondo, persino Gandhi ammise di essere stato da sempre vegetariano per educazione (essendo nato in India), ma di esserlo diventato per convinzione soltanto dopo aver letto il libro di Henry Salt (a Pledge for Vegetarianism).

I giovani non sono la speranza del cambiamento, ma soltanto la promessa dell’immutabilità, perlomeno nella misura in cui entreranno in contatto con le generazioni precedenti e con il sistema da esse incardinato e perpetuato.

Non è un caso che il principale cambiamento nel modo di vivere e di pensare delle persone si verifichi in concomitanza con il loro ingresso nel mondo del lavoro: a quel punto, tutte le fantasie, ormai dispregiativamente definite “infantili”, di gioventù dovranno cedere il passo alle preoccupazioni canonizzate e istituzionalizzate. Fare carriera, pagare le bollette, le tasse, e possibilmente il mutuo, le vacanze, l’auto e i figli. La libertà di evolvere viene compressa fino a sparire, e la vita inizia a trascinarsi in una serie di routine rassicuranti quanto aberranti. Aberranti in quanto spersonalizzanti e alienanti: alzarsi a comando, vivere costretti entro piccoli uffici, come in prigione, con tanto di uniformi (giacca e cravatta, o simili): cosa divide, realmente, dai carcerati? Soltanto il nome e la convinzione che quella sia la normalità. Ma che differenza c’è tra l’essere reclusi in prigione e il passare 40 anni della propria vita ad alzarsi a comando, recarsi in un posto a comando, rimanerci costretti per 8-10 ore al giorno, e alla fine pagare le tasse a comando?

Vedere nei giovani il cambiamento è soltanto l’ennesimo rituale, o pensiero confortevole e autoassolutorio. È un messaggio che stronca sul nascere qualsiasi spirito di iniziativa: rassicura i giovani che faranno la differenza “in futuro” e rassicura gli adulti che ciò che fanno non abbia importanza, poiché qualcun altro provocherà il cambiamento. Ma l’unico cambiamento vero è quello che vede passare da giovani e idealisti ad adulti cinici ed egoisti. Per evitarlo occorrerebbe ripensare il sistema dalle sue radici più profonde: l’istruzione, l’economia, i consumi, i valori, le credenze. Ma questo possono farlo soltanto gli adulti. È, insomma, un circolo vizioso destinato a ripetersi all’infinito finchè non si accetterà che l’unico cambiamento possibile ciascuno deve farlo dentro di sé.