Cinque anni. Quasi sei. Tanto era passato da quando Marco aveva parcheggiato la sua bicicletta nel giardino di casa, insieme a quella di Leia.
Erano bici da pochi Euro, comprate al supermercato. In fin dei conti non avrebbero dovuto farci grandi cose. Più che altro avevano sperato, comprandole, di poterle portare in vacanza al mare con loro, e così scorrazzare liberamente di spiaggia in spiaggia, di parco in pineta, ed esplorare la loro meta estiva preferita.
In realtà il sogno si era infranto ben presto, poiché nell’entusiasmo del momento i due avevano completamente dimenticato di fare i conti con le dimensioni della loro auto, e con la quantità di bagagli che erano sistematicamente capaci di stiparci, anche per spostamenti relativamente brevi.
Alla fine quelle due ruote da ipermercato li avevano scarrozzati ben poco: giusto un paio di brevi giri non lontano da casa, prima di passare nel dimenticatoio.
Marco sapeva che non sarebbe stata una ottima idea, quella di lasciarle in giardino, ma non gliene vennero proprio in mente di migliori. E poi, tutto sommato, erano aggeggi di poco valore e che probabilmente non avrebbero nemmeno utilizzato poi così spesso. Così fu. Anzi, per meglio dire non le utilizzarono mai più.
Arrivò la primavera, ed erano ancora lì, nel prato, in attesa di andare da qualche parte, ma in mancanza di chiunque desideroso di assecondarne il desiderio. Così arrivò, e poi passò, anche l’estate, e le altre stagioni. Piano piano le piante stavano avvolgendo inesorabilmente le biciclette, che nel volgere di un paio d’anni erano divenute ormai a stento percettibili.
Ma non furono soltanto quelle due bici a sfuggire alle attenzioni di Marco: anche Leia era stata lasciata lì, a coltivare per lui un desiderio tante volte inespresso e troppe volte frustrato.
E venne il giorno in cui Leia lasciò Marco.
In fin dei conti – gli dicevano gli amici – perché prendersela? Se l’hai lasciata ad aspettarti così tanto, senza soddisfare il suo desiderio di sposarvi, probabilmente non eri nemmeno soddisfatto. Volgi, piuttosto, lo sguardo, altrove, e trova qualcuna che possa darti la felicità.
Marco si rassegnò: cosa avrebbe potuto fare, in fin dei conti, se non ciò che i suoi amici suggerivano?
Fu così che cominciò a guardarsi attorno, e nel farlo osservò un miliardo di persone, o, perlomeno, tante gli erano sembrate. Così, cercando altrove la sua strada, finì per realizzare qualcosa che non gli era stato chiaro prima di allora: le persone non sono come biciclette. Non conta avere la più costosa, o l’ultimo modello, o quella più bella. Ma, soprattutto, la differenza più importante è che una bici rotta puoi buttarla, mentre di una persona devi averne cura per tutta la vita.
Sciocchezze! – gli ripetevano gli amici – Devi soltanto trovare un’altra che ti faccia stare bene!
Persone e biciclette, ripeteva Marco tra sé e sé. Persone e biciclette. Forse, in fondo, non erano poi così differenti quelle due cose: tutto si può prendere e poi gettare, ma tutto si può anche riparare.
A quel punto la domanda era: ce l’avrebbe avuta, lui, la forza di riparare tutto quanto? E gli strumenti, li possedeva?
Lui non l’aveva mai riparata una bicicletta, e poi chissà in che condizioni sarebbero state quelle due.
Al diavolo! – gridò forte dentro di sé – Ce la posso fare!
Cesoie alla mano, il nostro si avventurò nella fitta vegetazione che pareva aver ormai da tempo inglobato i due mezzi, fino a che riuscì a tirarli fuori entrambi.
La prima sfida era stata superata: riuscire a raggiungere il “paziente”, per poterne esaminare le condizioni.
Se nella sua testa si era figurato una situazione di rovina, quella che si trovò innanzi fu qualcosa di assai più esteso: una vera e propria devastazione. Anni di ruggine avevano intaccato le parti più preziose e vitali, fino a guastarle irrimediabilmente.
Ma Marco non si perse d’animo: smontò ogni singolo pezzo per poterlo analizzare, e stabilire quali potessero essere ancora utilizzati, e quali, invece, andassero sostituiti.
A questo punto fu necessario un bilancio: la bici non era costata più di qualche decina di Euro, mentre i ricambi sarebbero costati almeno il doppio, probabilmente il triplo. Una bici nuova analoga sarebbe costata meno, e non avrebbe richiesto alcun impegno. Che fare, dunque?
Marco non ebbe dubbi: anche se fra le sue mani erano rimasti soltanto i telai, decise che avrebbe fatto tutto ciò che serviva per rimetterle a posto. Anzi, di più: per ricostruirle migliori di prima. Aveva ormai deciso che quella sfida sarebbe stata il simbolo della relazione con Leia: il loro “telaio” era forte e saldo, proprio come quei due nelle sue mani. E con un nucleo simile, non c’è limite a ciò che si può realizzare: perché, dunque, gettare via qualcosa che può rinascere ancora migliore, e perfezionato attraverso l’esperienza e la volontà?
Il nostro si mise ad armeggiare sulla propria bici, che gli servì anche per accumulare esperienza. Piano piano il mezzo prendeva di nuovo forma, e alla fine divenne assai migliore di quanto era stata da nuova. Così, preso coraggio, riuscì a riportare a nuova vita anche quella di Leia in breve tempo. Eppure, prima di allora, Marco non si era neppure mai chiesto come fosse costruita una bicicletta. Semplicemente, non si era neppure accorto di avere la capacità di compiere quell’impresa: non si era guardato dentro per chiedersi se ne fosse capace. Fino ad allora.
Non c’è niente che la forza di volontà e la dedizione non possano realizzare.
E fu così che le bici, assurte a uno splendore prima di allora sconosciuto, non aspettarono altro che qualcuno che le utilizzasse.
Proprio come Marco aspettò Leia. Per poter riprendere la strada interrotta, e sciogliere la ruggine che gli anni e le intemperie avevano sedimentato nelle loro anime.