L’ULTIMA GUERRA

war

Che cos’è la guerra? Secondo le più diffuse nozioni fornite dai dizionari si verifica una guerra allorché due soggetti si contrappongono l’uno all’altro. Non so dire se questa sia una descrizione assolutamente esatta: l’invasione di un paese non ostile, per esempio, non dovrebbe quindi definirsi una guerra. Eppure si tratta senza dubbio di un atto ostile; se uno non reagisce quindi non è veramente guerra? Del resto le definizioni siamo pur sempre noi a inventarle: certo, poi diventano delle convenzioni che vanno rispettate affinché i nostri interlocutori possano comprendere cosa intendiamo utilizzando un’espressione anziché un’altra.

Di quando in quando si legge da qualche parte (sarebbe ormai difficile e improbabile dire che qualcosa si legga soltanto sui giornali) che sta per scoppiare la terza guerra mondiale, oppure che è scoppiata una nuova guerra. Mi rendo conto di andare controcorrente di dirlo, ma proporrei di invertire le nostre premesse e domandarci: è mai finita la guerra? Oppure, è mai esistita la pace? Anche in questo caso si tratta semplicemente di mettersi d’accordo sulle definizioni: se ci considerassimo realmente tutti abitanti dello stesso mondo, non vedo proprio come potremmo immaginare di essere mai stati in pace, o anche semplicemente pacifici.

Ecco, dunque, che, se come contrario di guerra intendiamo la pace, allora possiamo serenamente affermare che in questo nostro mondo sia da sempre in guerra, perlomeno da che la nostra specie lo abita. Ci illudiamo che esista una sorta di codice d’onore della guerra, o che il rispetto di regole sancite dalla tradizione o dal diritto internazionale possano renderla in qualche modo giusta oppure corretta, o forse “sportiva”; sportiva – oserei dire – esattamente come la caccia, in cui qualcuno si diverte mentre qualcun altro muore.

Potremmo anche definire la guerra come sopruso: qualcuno cerca di imporre le proprie ragioni o ambizioni attraverso la violenza, interferendo con l’autodeterminazione altrui. Certo, detta così, potremmo forse concludere che tutti noi, ogni giorno della nostra vita, siamo in guerra: siamo in guerra contro quelli che consideriamo strumenti per raggiungere i nostri scopi; siamo in guerra nel traffico quando tagliamo la strada all’altro guidatore; siamo in guerra con i nostri colleghi, quando ne parliamo male alle spalle per metterli in cattiva luce con il capo; siamo in guerra con i nostri genitori quando non ci sentiamo capiti e per questo li detestiamo; siamo in guerra con i nostri partner quando non ricambiano ciò che diciamo di provare per loro; siamo in guerra con tutti quelli che danno la vita, o l’infanzia, o la felicità, o la salute, affinché noi possiamo stringere tra le mani l’ultimo modello di telefonino ogni sei mesi; siamo in guerra con l’ambiente che mutiliamo e sviliamo giorno dopo giorno; siamo in guerra con gli animali che mangiamo o che affamiamo. Forse, molto più semplicemente, la verità è che siamo in guerra contro noi stessi: individui logorati dalle paure, compresa quella di ammettere di averne, incapaci di considerarci collegati a tutti gli altri e troppo deboli per poter amare anche i nostri nemici, finiamo per odiare perfino gli amici.

Ma se tutto quanto sopra è guerra, cosa, dunque, è pace? La pace è perdono, è amare chi ci odia, è comprendere che il rancore e il desiderio di vendetta non ci rendono liberi né tanto meno forti, ma dimostrano semplicemente la nostra profonda debolezza e paura. Forse dovremmo smettere di pensare a quando inizierà la prossima guerra, e prendere finalmente la decisione di far cessare quelle che sono già in corso e che spesso combattiamo in prima linea: l’ultima guerra che dovremo combattere sarà quella contro noi stessi. Soltanto allora ci sarà la pace.

La pace è amore, o, detta in altri termini, non può esserci reale pace senza vero amore; la guerra è odio e ovunque ci sia quest’ultimo c’è anche la prima: può essere forse latente e occasionalmente slatentizzarsi, ma non sarà mai davvero assente.

Non importa ciò che dice il diritto internazionale e non contano neppure le definizioni dei dizionari: la formale dichiarazione di guerra, o la formale contrapposizione tra due eserciti rappresentano soltanto l’apice, o la formalizzazione, di un modo di pensare, di essere, di esistere. La guerra è nell’odio del nemico. Anzi, prima ancora, è nell’idea stessa che qualcuno o qualcosa ci sia nemico: allorchè iniziamo a considerare qualcuno nostro amico e qualcun altro nostro nemico, stiamo tracciando la linea di discriminazione da cui tutto ha inizio. La prima trincea dell’ennesima guerra.

Il senso stesso del conflitto sorge con la discriminazione: chi sta da una parte della linea ha più diritti, o è più bravo, o più giusto, di chi sta dall’altro lato. Questo è il seme di qualsiasi conflitto, nella persuasione che una circostanza, una qualità o una dote attribuisca a qualcuno un titolo per imporsi nei confronti di altri: per tale motivo non potrà esserci pace finché esisterà la discriminazione. Ma la discriminazione è un modo di pensare, e per debellarla l’unico fronte che possiamo aprire è dentro di noi, fino a comprendere che non esiste alcuna differenza che possa giustificare una discriminazione.