LEGGI BESTIALI

daniza

Un orso ha aggredito un uomo: per questo deve essere punito, rinchiuso, allontanato dalla sua famiglia e dalla sua vita in libertà… L’uomo, che ha privato quell’orso dello spazio vitale, invaso qualsiasi territorio che questi possa abitare, massacrato e ridotto pressochè all’estinzione tutti quelli della sua (e di innumerevoli altre) specie, quale punizione meriterebbe?

L’orsa Daniza faceva l’unica cosa possibile per lei: cercare di sopravvivere, assieme ai suoi cuccioli, per cercare di garantire la sopravvivenza di una specie che ha troppi peli addosso e troppo poche armi di distruzioni di massa per potersi considerare degna di questo diritto.

Daniza non può chiedere alcun sussidio allo stato, alcuna assistenza ad enti caritatevoli, né può lamentarsi per le tasse troppo alte o per le ruberie delle banche e dei politici: può soltanto contare su se stessa per sfamarsi e sfamare quei cuccioli che senza di lei sarebbero perduti. Ma in un mondo che ha perso di vista qualsiasi senso e fondatezza nell’agire e nel rapportarsi con l’altro perfino questo è troppo, poiché minaccia la “sicurezza” degli umani.

E che importa se quegli umani hanno tolto qualsiasi habitat e continuano perfino a invadere quel misero superstite? E che importa se quegli umani “in pericolo” per quell’orso si avvelenano quotidianamente ingerendo cose che non sono cibo o respirando qualcosa che non è aria, o fumando?

Certo, perché se il rischio per la salute viene da medicine che fanno ammalare senza curare alcunchè, oppure da prodotti che non sarebbero cibo per la nostra specie ma che come tali vengono spacciati, o dall’inquinamento ambientale che produciamo, tutto con ricchi profitti per pochi, allora nessun illecito, nessuna punizione, nessun male.

Ma se incontriamo sulla nostra strada qualcuno che ha la sventura di essere sopravvissuto al nostro passaggio e alla nostra distruttiva impronta su questa terra, cos’altro fare, se non riversare nei suoi confronti quell’odio che ci porta a combattere anche i nostri simili?

Come ho già avuto modo di scrivere ne “Il diritto al vegetarismo”, il diritto umano si fonda su presupposti paradossali, benchè largamente condivisi dai giuristi e dai filosofi del diritto, e ingenuamente applicati da chi il diritto non lo conosce né lo produce, eppure lo subisce.

In particolare la teoria contrattualista del diritto insegna che tutti noi, cioè umani membri di collettività organizzate, siamo soggetti alle leggi, e dunque anche titolari di diritti, in quanto aderenti, stipulanti di un patto, il cosiddetto “contratto sociale”.

Non si sa bene in che modo, né perché, ma anche chi non conosce le leggi e chi non è in grado di comprenderle (infanti, incapaci, etc.) viene considerato titolare di diritti, cioè un soggetto giuridico a tutti gli effetti, di cui semmai si possono scusare quei comportamenti illeciti che per chi è considerato “capace” determinerebbero l’irrogazione di sanzioni penali; cionodimeno essi restano titolari di diritti a tutti gli effetti.

Ma se la legge è fatta dagli umani, per gli umani, quale fondamento può mai avere nei confronti di chi umano non è? Si dice, infatti, che tutti noi (umani) sopportiamo delle limitazioni alla libertà di agire in ragione del riconoscimento di diritti, affinchè gli altri siano tenuti a rispettarci come noi loro. Corrispettività, insomma.

Allorchè qualcuno non goda di diritti non può ravvisarsi alcun contratto sociale, nessuna adesione – reale o fittizia, effettiva o ipotetica – ad alcun tipo di accordo, né, pertanto, la sottomissione ad alcuna norma eteroimposta, poiché, se siffatta, altro non sarebbe che arbitrio, non già legge, tantomeno diritto.

Se, e fino a quando, gli animali non umani non godranno di diritti e non saranno riconosciuti quali soggetti giuridici, all’impossibilità di assoggettarli a provvedimenti “legali” in quanto non capaci di comprendere il dettame normativo, si sommerà l’abominio paradossale di concepire nei loro confronti soltanto misure punitive e sanzionatorie e senza neppure la possibilità di essere difesi in un giusto processo in cui qualcuno capace di interpretare il diritto (umano) possa difenderli da tale arbitrio.

Perfino nel medioevo, con l’oscurantismo e il dogmatismo che lo contraddistinguevano, prima di assumere provvedimenti nei confronti di non umani era d’obbligo ricorrere a un processo con tanto di difensore: che ne è di quel retaggio oggi? Schernito dai giuristi contemporanei che ritengono indegno di un’aula di tribunale il diritto di difesa di chi non può difendersi, soltanto se questi sia non umano, mentre si considera corretto procedere al di fuori di qualsiasi legge e in base al mero arbitrio con misure punitive o coercitive.

Potrei concludere affermando che strappare una madre ai propri cuccioli rappresenta un atto spregevole e degno di creature che non possono meritare altro che l’odio e la devastazione che diffondono nel mondo, e, così facendo, sottolineare le implicazioni emotive della vicenda, ma non è ciò che mi ripropongo; preferisco, invece, chiarire che non occorre compassione né emotività per comprendere che simili azioni non trovano alcun conforto nel diritto e non fanno altro che calpestarne l’essenza stessa, che si basa sul concetto di corrispettività.

Un concetto di diritto evoluto non può prescindere dal riconoscere diritti a chi può essere assoggettato a sanzioni, né tantomeno dalla necessità di un contraddittorio che garantisca il confronto e la difesa, prima di ricorrere a qualsivoglia misura nei confronti di chiunque.

Nessun governo o autorità locale può avere più poteri di quelli ad esso demandati dal popolo che lo ha eletto e che, in questo caso, è quello umano: per tale motivo nessuna amministrazione pubblica può essere moralmente o giuridicamente autorizzata a disporre misure sanzionatorie nei confronti di Daniza o di qualsiasi altro non umano.

EPILOGO:

Le “leggi bestiali” dell’uomo hanno avuto, ancora una volta, il sopravvento: Daniza, una goccia nel mare, anzi, nell’oceano, della guerra senza tregue e senza fine che conduciamo contro tutti, quindi anche contro noi stessi, da tempo immemore.

La riprova che, a dispetto di tutte le “filosofie” che invochiamo a nostra tutela, o, meglio, a tutela dei nostri vizi, nei confronti di chi consideriamo altro da noi sappiamo agire in modo arbitrario senza alcuna riserva.

In una democrazia sarebbe stato il popolo a decidere, ma il popolo non è stato ascoltato.

Nel medioevo si sarebbe celebrato un processo, con il diritto a una difesa, ma non c’è stato alcun contraddittorio.

Nell’idillio che diciamo di volere non sarebbe neppure sorto il problema, poichè non ci sarebbero stati carnefici, nè aspiranti carcerieri.

Oggi con Daniza sono morti la democrazia e il diritto, o, perlomeno, quelle apparenze così definite, giacchè nella sostanza forse essi esistono solo nella mente di alcuni pensatori, e occasionalmente anche in singoli momenti o episodi storici, ma che per lo più si rivelano soltanto il metodo attraverso il quale giustificare le proprie pretese e i propri abusi.

Purtroppo questo non è un episodio isolato, ma è soltanto un caso simbolico di una civiltà incapace di trovare il proprio senso, priva della volontà di cercarlo e così presa da se stessa da aver perduto l’orientamento.

La liberazione dalle catene che ci siamo imposti non arriverà da istituzioni autoreferenziali, ma potrà provenire soltanto dalla consapevolezza di chi siamo, dove andiamo e cosa facciamo: miliardi di Daniza affrontano esistenze brevi, in detenzione, e culminanti in atroci morti, soltanto per intrattenerci o saziarci, mentre altrettanti hanno perduto la possibilità di abitare il nostro e loro pianeta per sempre, poichè abbiamo deciso di costruire oggetti inutili per guadagnare soldi, e ancora miliardi di umani pagano le conseguenze di quelle stesse scelte, morendo di inedia, malattie derivate dall’inquinamento, o per lo sfruttamento.

Soltanto noi possiamo essere protagonisti del cambiamento, e salvare tutte “le Daniza” del mondo, assieme a noi stessi.