ETICA FRUTTARIANA VS. ETICA VEGANA

Si sente spesso rimproverare ai vegetariani/vegani di essere degli sterminatori di piante; mi è capitato di leggere (varie volte) il motto di spirito “salva una pianta: uccidi un vegano”, cui si associa la – stavolta seria – considerazione formulata a mo’ di rimprovero ai vegani: “Anche le piante soffrono”.

Non è mia intenzione soffermarmi sugli aspetti scientifici approfonditi della questione, sia per non sconfinare in materie di altrui competenza, sia perché tutto sommato irrilevanti nella prospettiva eusebista: basti dire che tra animali (umani e non umani) e vegetali ci sono delle differenze evidenti che, oltre a suggerire una diversa percezione della sofferenza, dimostrano come sia impossibile perpetrarne talune particolari forme nei confronti delle piante. Una pianta non può essere munta e costretta in spazi angusti dove è soggetta al calpestio e alle aggressioni di altre piante, né trascinata, spinta e condotta in macelli grondanti sangue, grida e odori dei suoi simili che l’hanno preceduta.

Rassegnarsi a provocare e/o approfittarsi di ogni male possibile nei confronti di chiunque non è la soluzione più etica, ma evidentemente è la più comoda.

C’è poi quel dettaglio che nessuno considera, nel perorare la propria causa: la produzione di “alimenti” di derivazione animale implica l’uso di decine di volte quella quantità in vegetali, con i quali vengono appunto nutriti gli animali.

Affermare che chi mangia un’insalata fa strage di piante, mentre il consumatore di una bistecca rispetta la vita vegetale sarebbe come se colui che sgancia una bomba atomica su una città desse dell’assassino al soldato che ha sparato un colpo di fucile sul nemico.

Pur a partire da un’osservazione tutt’altro che disinteressata e oggettiva è comunque possibile fare una riflessione etica proficua: molti sostengono il dovere etico del veganismo sulla base del rispetto per gli animali, per l’ambiente e per le persone, sottolineando che l’allevamento provoca:

–        ipersfruttamento delle risorse ambientali;

–        inquinamento;

–        danni alla salute in quanto alimentazione innaturale per l’uomo;

–        sperequazione economica e sociale;

–        fame nel mondo.

È curioso notare che quanto sopra è assolutamente vero, ma varrebbe in tutto e per tutto anche se si paragonasse il regime vegano a quello fruttariano; infatti l’impatto ambientale dell’agricoltura, tra abbattimento di foreste, uso di pesticidi, manipolazioni genetiche, concimi più o meno naturali e depauperamento delle risorse della terra derivanti da colture intensive, è devastante.

Si parla di desertificazione agricola come del fenomeno che deriva dall’asservimento totale del suolo a campi coltivati, con l’asportazione di qualsiasi forma di vita vegetale diversa dalle specifiche colture, che, a loro volta, portate avanti in modo intensivo, privano la terra degli elementi che la rendono fertile e che vengono aggiunti artificialmente: per questo motivo i vegetali selvatici si sono rivelati straordinariamente più ricchi dal punto di vista nutritivo di quelli coltivati.

Ma vero è anche che l’uomo non è nato carnivoro, ma tantomeno coltivatore e, anzi, ha cominciato prima a cacciare che a coltivare.

C’è, infine, la questione dei diritti degli animali non umani: non mangiandoli se ne rispetta il diritto alla vita, ma sottraendo loro l’habitat per farne coltivazioni (e deserti agricoli) non si lede forse il loro diritto di accedere alle risorse del pianeta che condividiamo? Non si impedisce loro perfino di venire a esistenza, di riprodursi, di perpetuare le proprie specie, di spostarsi liberamente?

E che dire di tutti gli animali e insetti travolti e uccisi dalle macchine agricole, dai pesticidi e dai numerosi interventi fatti nei campi? D’altronde anche sterminare una specie animale concorrente nell’accesso alle risorse non rappresenta certo una forma di antispecismo o di rispetto incondizionato.

Molti, sensibili allo sfruttamento degli animali non umani, si preoccupano dell’origine dei prodotti cosmetici o di abbigliamento, affinchè non siano neppure incidentalmente collegabili con la sofferenza animale, eppure nessuno si domanda quante specie siano scomparse a causa dello sfruttamento agricolo che ha consentito di portare in tavola una verdura.

Insomma, anche senza entrare nel merito della questione “vita vegetale”, è sufficiente sviluppare correttamente le argomentazioni sottese al veganismo per rendersi conto che la loro effettiva realizzazione risiede nella scelta fruttariana, a pena di incoerenza rispetto alle premesse.

Con queste riflessioni voglio sottolineare due cose: i) la meta indicata dall’ideale di rispetto è il fruttarismo; ii) è sempre opportuno rammentare che non si può esigere la purezza totale, né costernarsi per la sua assenza… al contrario, c’è sempre spazio per la crescita e l’aumento di consapevolezza.

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