CAVALLI DI FERRO E CARRI ALATI

apollo

Come tantissimi altri prima e dopo di me, ho studiato al liceo classico: qui ho imparato molto su alcune culture antiche, perlomeno quelle occidentali. Una delle cose che mi hanno insegnato, pur senza esporlo in questi termini esatti, è che gli antichi erano pazzi: vedevano cose che non esistevano, facevano sacrifici, privandosi di costosi animali o frutti, a divinità inventate, attribuivano a figure mitologiche il potere sulle sorti umane.

Certo, non erano proprio tutti pazzi questi antichi, ma soltanto quelli che nei loro racconti parlavano di dei al plurale: quelli che, invece, avevano descritto episodi in tutto e per tutto paragonabili e che per la nostra esperienza definiremmo inverosimili, attribuendoli però a un solo dio, erano depositari di conoscenze assolute. Quelle sulle quali sono state costruite le cosiddette radici cristiane del mondo occidentale.

Sì, perché sebbene nei testi Sumeri, per esempio, si trovassero narrate le stesse storie dell’antico testamento, i primi si dice venerassero molte divinità, ed erano pertanto semplici visionari che si erano inventati figure inesistenti. Al contrario, quelli che dalle stesse storie avevano ricavato un dio singolo da venerare avrebbero avuto ragione: in pratica gli ultimi non hanno inventato niente, ma per qualche motivo la loro trascrizione di storie altrui sarebbe stata fonte di ispirazione divina, mentre nel caso di quelli che le avevano scritte prima, si sarebbe trattato di semplice fantasia.

Ecco, nella mia ingenua fanciullesca visione per molti anni è esistito semplicemente un passato umano fatto di società di sempliciotti e di visionari, che, probabilmente a causa della loro arretratezza culturale e intellettuale, avevano creato un universo di storie e racconti per spiegare ciò che la scienza avrebbe insegnato a noi millenni dopo.

Quella mia visione un po’ (troppo) semplicistica era sicuramente corroborata, oltre che dalle cose dette, da quelle non dette. Facciamo un esempio: quando è stata scritta la Bibbia? O, per essere più precisi, l’antico testamento? Si tratta di un’informazione che, benché apparentemente fondamentale rispetto a tutte le altre, non mi è mai capitato di ricevere e perfino oggi che Internet offre possibilità sterminate, sembra incredibilmente difficile trovare riferimenti in proposito: molti, specie fra i religiosi, preferiscono limitarsi a spiegare la complessità della datazione e l’estensione del periodo di tempo a cui può essere ricondotta la redazione di quei testi. Ebbene, immaginate quale stupore possa aver destato in me apprendere che il testo che viene utilizzato come simbolo dell’ispirazione divina fosse stato composto a cavallo della Grecia classica, e addirittura in parte dopo la cosiddetta nascita di Cristo.

Insomma, mentre la civiltà romana già prosperava da secoli, per qualche strano motivo qualcuno era in grado di scrivere dell’origine dell’universo o di fatti come il diluvio universale accaduti in tempi per lui più distanti di quanto non lo sia oggi per noi l’anno zero.

Per fortuna già da quando avevo circa 13 anni avevo smesso di credere nella religione, ma certamente il fatto di appurare che si attribuisse ispirazione divina a dei testi coevi di quelli dei filosofi greci, mentre questi ultimi venivano tacciati di stravaganza quando parlavano di dei mi avrebbe aiutato a considerare tutto fin dall’inizio sullo stesso piano.

I filosofi classici non erano proprio degli idioti, considerando anche che erano stati in grado di concepire ed elaborare molte delle leggi della fisica che la nostra scienza avrebbe appurato soltanto a distanza di un paio di millenni (molto) abbondanti. Eppure, nonostante questa estrema razionalità, capacità analitica, acume di osservazione e spessore intellettuale, erano degli idioti  e degli ingenui nel parlare di favole e divinità come se fossero vere; al contrario, alcuni personaggi vissuti al loro stesso tempo, o poco prima, o poco dopo, di cui la storia non ha neppure tramandato i nomi e che certo non ci risulta abbiano contribuito in alcun modo alla cultura umana, erano depositari di conoscenze assolute e sarebbero stati ispirati da Dio nello scrivere. Un’ispirazione che però, facendo i conti, sarebbe durata un migliaio di anni e avrebbe riguardato un numero imprecisato di individui, cioè tanti quanti gli autori di tutti i testi che sono considerati parte dell’antico testamento. E gli sprovveduti sarebbero stati quindi i greci?

Improvvisamente mi sentivo molto più stupido di loro, ma non tanto per aver dato credito alla Bibbia (cosa praticamente mai fatta), bensì per aver creduto che tutto ciò che avevano tramandato culture così raffinate fossero stupidaggini.

Abituati come siamo delegare altri a pensare al posto nostro, tendiamo rassegnarci con estrema facilità di fronte a tantissime cose: la fede è una di queste. Eppure, curiosamente, la rassegnazione a non poter conoscere con certezza viene usata molto più spesso come ragione per credere, anziché no. Il che è molto curioso, poiché se pensassimo di essere avvicinati per la strada da uno sconosciuto, il quale ci chiedesse una somma di denaro affermando di voler realizzare un progetto caritatevole, difficilmente accetteremmo la sua parola come verità senza aver avuto prove tangibili delle sue affermazioni. Invece, quando si tratta di spiegare il nostro senso nell’universo, inspiegabilmente finiamo per accontentarci con estrema facilità di quello che ci è stato detto da piccoli.

Eppure, molto spesso non occorre diventare esperti studiosi di una materia, per poter operare delle discriminazioni: la nostra logica, per esempio, potrebbe fornirci degli strumenti di eccezionale utilità ed efficacia, ma troppo spesso rinunciamo a usarla, delegando ad altri non soltanto l’approfondimento delle materie, bensì anche le conclusioni.

Ecco, a questo punto ho finito per sentirmi ancora più sciocco e ingenuo, accorgendomi di non aver mai considerato con senso critico ciò che per anni ho letto: poiché i greci antichi erano pazzi che veneravano divinità immaginarie, non aveva nessun senso soffermarsi sulle parole o cercare significati. Tutto ciò che potevo fare, per esempio traducendo i loro testi, era potermi dire edotto delle loro fantasiose descrizioni di mondi o divinità inesistenti. Del resto, quando si parla di carri alati o carri volanti chi potrebbe pensare a qualcosa di reale?

Ricordo ancora un cartone animato, che amavo molto quand’ero piccolo, ambientato nell’antica Grecia: Apollo, il dio del sole, caricava ogni mattina la stella sul proprio carro di legno, trainato da cavalli, e con esso raggiungeva il cielo. Favole, miti, leggende.

Un po’ come quegli altri che parlavano di cavalli di ferro: e come potrebbe muoversi un tale animale? Chiaramente mitologia anche questa! Peccato, però, che in quest’ultimo caso sappiamo per esperienza diretta quale significato veniva attribuito all’espressione che per noi, da un punto di vista strettamente letterale, sarebbe stata semplicemente da archiviare assieme a tutti quegli altri visionari antichi: “cavallo di ferro” altro non era se non il modo dei nativi americani per indicare i treni.

Del resto una civiltà che utilizza come mezzo di trasporto il carro, ma che non costruisce aerei, razzi né astronavi, come altro potrebbe descrivere una qualsiasi macchina volante, se non utilizzando il termine convenzionalmente adoperato per indicare il mezzo di trasporto per eccellenza?

E che dire dei fucili, che sempre nativi americani definivano “canne tuonanti”? Ecco, dunque, che tutti quei testi antichi, compresi quelli sacri, che parlano di carri tuonanti nel nostro immaginario hanno sempre rappresentato idiozie o allegorie, per il semplice fatto che così siamo stati abituati a pensare, cioè delegando ad altri le conclusioni.

In effetti è quasi stupefacente realizzare quanto l’intelletto umano, privato di interferenze e dei cosiddetti intrattenimenti (televisione, cosiddetti sport, etc.), sia in grado di conseguire in completa autonomia e senza bisogno di guru o depositari di presunte conoscenze assolute.