L’EQUIVOCO DEL KARMA

KARMA

Un po’ come tutte le credenze, anche quelle spirituali, non religiose, risentono del tessuto socioculturale in cui trovano diffusione.

Ancora pochi decenni fa, parlare di karma nel mondo occidentale significava essere dei pionieri, mentre oggi questo termine sembra essere perfino inflazionato. Il dizionario Treccani lo definisce così: “Termine che, nella religione e filosofia indiana, indica il frutto delle azioni compiute da ogni vivente, che influisce sia sulla diversità della rinascita nella vita susseguente, sia sulle gioie e i dolori nel corso di essa; sinon. quindi di «destino», concepito però non come forza arcana e misteriosa, ma come complesso di situazioni che l’uomo si crea mediante il suo operato”.

Prima di tutto si dovrebbe precisare che non necessariamente quanto descritto (o, perlomeno, tramandato) da religioni o filosofie orientali corrisponde a verità: si potrebbe peraltro disquisire ampiamente della reale fonte della conoscenza degli antichi. Rivelazione? Conoscenza diretta? Invenzione?

Per fortuna, almeno dal secolo scorso, la scienza occidentale ha aperto una porta, sì invisibile, eppure ben serrata dal dogmatismo religioso (cristiano e non solo) e dallo stesso dogmatismo scientifico, che nella sua versione più ottusa considera impossibile e ascientifico tutto ciò che trascende le cose rilevabili per mezzo dei sensi o degli strumenti tecnologici di volta in volta posseduti. Attraverso l’ipnosi, convenzionalmente definita “regressiva”, ma a mio avviso più correttamente da definirsi “evocativa”, psicologi, psichiatri e liberi ricercatori hanno iniziato a raccogliere informazioni molto dettagliate sulla reale natura umana, nonché sulle leggi universali.

Ecco, quello che comunemente chiamiamo “karma” potrebbe essere alternativamente definito come “legge universale”, così separandolo dalle componenti concettuali spurie che si possono rinvenire nelle diverse tradizioni filosofico-religiose che lo descrivono. Ma il fatto che perfino le società in cui il concetto di karma è stato originariamente introdotto manifestino comportamenti tutt’altro che esenti da censure, soprattutto a livello etico e sociale (basti pensare al sistema di caste indiano, peraltro ampiamente avallato dallo stesso Gandhi), dimostra una limitata consapevolezza di ciò che realmente esso sottende.

L’occidentalizzazione del karma ha portato poi una banalizzazione preoccupante: in pratica, è come se gli ideali giustizialisti di matrice anglosassone fossero stati traslati al suo interno, finendo così per rappresentarlo come una sorta di punizione. Se fai del male, riceverai del male. Questo non è sicuramente il principio universale che riscontriamo attraverso le ipnosi evocative. La punizione è un concetto profondamente umano (nel senso basso del termine), che spesso usiamo come banale rassicurazione: “Sì, quella persona mi ha fatto del male, ma ci penserà il karma a vendicarmi!”. Il karma non è vendetta, né compie vendetta.

Il karma è, essenzialmente, libero arbitrio, volto ad acquisire consapevolezza. Non a punire o premiare. Di per sé le condizioni che noi chiamiamo “premi” o “punizioni” sono identiche, e non è possibile comprendere cosa sia il karma, senza aver compreso questa elementare identità. Non esiste alcuna fortuna nel nascere ricchi, né sfortuna nel nascere poveri.

Il karma è uno schema cosmico, basato, appunto, sul libero arbitrio, quale strumento di acquisizione di consapevolezza. Sia le anime individuali che i corpi che le ospitano, e quindi le persone risultanti dalla combinazione delle due cose, rappresentano meri strumenti volti al perseguimento di un fine: quel fine è la consapevolezza.

Se è vero che l’anima e la persona sono create per evolvere nella consapevolezza, l’idea di punire o premiare perde qualsiasi senso o interesse: ciò che conta è apprendere. Come è logico che sia, quindi, sommando il principio universale del libero arbitrio con lo scopo dell’esistenza, il risultato è semplice: ciascuno sceglie le prove che gli occorrono per addivenire alla consapevolezza.

Vero è che, spesso, la lezione terrena più facile consiste nel porsi nella prospettiva che non si è in grado di comprendere: se sei carnefice in una esistenza è probabile che sarai vittima in un’altra. Ma non è una punizione: è soltanto apprendimento.

Del resto, quando decidiamo di apprendere la geometria, ciò che facciamo è semplicemente procurarci dei testi di geometria e studiarla. Ecco, così, di vita in vita, ci dedichiamo allo studio attraverso l’immedesimazione: ciò che non apprendiamo in una, lo apprendiamo in un’altra. Semplice, intuitivo, eppure complicatissimo da far proprio.

In conclusione, poiché la consapevolezza nella condizione umana è assai limitata, è profondamente fuorviante traslarne i principi – tali e quali – in meccanismi universali, che finiamo così per banalizzare e storpiare, con l’effetto di aggiustarli e confezionarli in modo da renderli soltanto concetti vuoti, passibili di giustificare qualsiasi cosa.

Se ancora ci sentiamo legati al concetto di vendetta o di rivalsa, dovremmo evitare di proiettare queste nostre esigenze su ciò che trascende l’esperienza umana, e, al contrario, accostarci senza pregiudizio e con spirito critico alla conoscenza di ciò che ci sfugge.