L’ESTREMISMO DEI VEGETARIANI

Mentre il numero dei vegetariani e dei vegani in tutto il mondo aumenta, i difensori della dieta onnivora e i portatori di interessi contrastanti (cioè chi sfrutta gli animali non umani per tornaconto economico) tentano di metterne all’indice le scelte utilizzando diversi argomenti, fino ad arrivare a definirli degli estremisti o dei fanatici.

Se per fanatismo o estremismo si intende il rifiuto di recare danno o usare violenza o uccidere forme di vita differenti da quella umana, ebbene allora io sono un estremista e un fanatico.

Il vero problema non è dimostrare perché vegetariani e vegani non siano fanatici, bensì vivere in una società dove ciò si rende necessario, mentre il sistema non soltanto ammette e consente, ma arriva a tutelare e incentivare attività che hanno per effetto quello di danneggiare e privare della vita miliardi di individui di qualsiasi specie, oltre ad annichilire l’ambiente nel quale tutti esistiamo.

Si può non condividere la scelta di chi decide di anteporre gli altri a se stesso, ma di sicuro non lo si può definire un individuo pericoloso, poiché questi è semmai l’antitesi della pericolosità: si può addirittura pensare che quest’individuo commetta un errore di valutazione, ma quali effetti potrebbe determinare questo errore? Forse quello di vivere in un mondo dove si dà meno importanza all’appagamento del palato anziché alla vita? È, dunque, un fanatico degli animali chi si rifiuta di ucciderli, oppure è un fanatico del gusto chi accetta sofferenza, morte, distruzione ambientale e inquinamento quale prezzo accettabile per il proprio appagamento?

C’è, poi, un altro errore molto diffuso: quello di pensare che soltanto gli animalisti siano vegetariani o vegani. Tra le due cose c’è sicuramente una relazione logica, ma non si tratta di una correlazione biunivoca: è vero che non si può essere realmente interessati al benessere degli animali senza essere vegetariani, ma non è necessario essere animalisti per astenersi dall’uccidere animali a scopo alimentare.

Insomma, ritenere che soltanto un animalista estremista possa essere vegetariano equivarrebbe a dire che chiunque non uccida altri uomini deve essere necessariamente un promotore dei diritti umani.

Affermare che lo stile alimentare rappresenti una libera scelta e il consumo di carne un diritto è un evidente equivoco: sarebbe come affermare di avere il diritto di uccidere gli altri automobilisti per arrivare più in fretta al lavoro. In nessuno dei due casi è in discussione la sopravvivenza dell’individuo e quelli che affermano il contrario riguardo al vegetarismo o mentono o ignorano: nel primo caso probabilmente si tratta di una giustificazione morale o di una scusa per tutelare il proprio interesse economico, nel secondo caso probabilmente si pensa che i milioni o miliardi di vegetariani nel mondo siano soltanto una leggenda metropolitana.

Il principio di necessità tanto invocato per difendere l’alimentazione onnivora non trova alcuna giustificazione e ciò non per assurdi paradossi logici o filosofici, ma in base alla semplice constatazione che esiste un gran numero di vegetariani e vegani e che, addirittura, le loro condizioni di salute sono di gran lunga migliori rispetto a quelle degli onnivori.

D’altronde non stiamo parlando di un naufrago su un’isola deserta, che potrebbe appellarsi al principio di necessità anche per mangiare il proprio compagno di sventura umano, bensì di un commercio multimiliardario che genera un volume d’affari inaudito, sovvenzionato e finanziato in gran parte anche attraverso le tasse dei privati cittadini, anche di quelli vegetariani.

Insomma, se pure si potesse ammettere il diritto di chiunque di uccidere altri per sopravvivere (cosa che peraltro chi scrive ritiene tutt’altro che certa), ciò non avrebbe comunque alcun effetto nel caso dell’automobilista frettoloso o dell’onnivoro goloso.

Perfino il diritto penale italiano, nell’ammettere lo stato di necessità, esime da responsabilità chiunque uccida un proprio simile per sopravvivenza, ma non c’è un modo per cui si possa ritenere applicabile questo principio nel caso in cui, anziché trattarsi di un gesto compiuto dal naufrago sulla scialuppa di salvataggio nei confronti dell’unico altro superstite, si tratti di un imprenditore che, per trarre guadagno ben oltre le necessità del mero sostentamento, uccide non uno ma milioni di individui per poterli poi offrire in pasto ad altri, o, addirittura soltanto affinché questi possano indossarli o decorarsi con loro parti.

Non si può invocare il rispetto senza riconoscerlo, né tantomeno parlare di diritto allorché lo si nega; soprattutto non si può accusare di fanatismo allorché lo si pratica.