Quante volte abbiamo accusato qualcuno di cattiveria? È cattivo qualcuno che ci ha derubati, offesi, scavalcati, che non ha ricambiato i nostri sentimenti, che ci ha abbandonati, che ha provocato una guerra, ucciso, eccetera.
Il male, o, perlomeno, ciò che tale consideriamo, e che ai fini di questo articolo identificheremo attraverso una semplificazione come “ciò che provoca sofferenza”, discende essenzialmente da un limite di consapevolezza.
Non dobbiamo pensare alla consapevolezza come a un interruttore che ha soltanto due posizioni – acceso o spento – e che può pertanto esistere del tutto oppure non esistere affatto; dovremmo piuttosto riconoscere i molteplici livelli in cui essa può manifestarsi.
L’egoismo, che altrove ho descritto come il motore primo di qualsiasi discriminazione, rappresenta il sintomo principale dei limiti della consapevolezza: agiamo a favore di noi stessi anche a scapito degli interessi altrui, ma non ci accorgiamo che, così facendo, il danno che subiremo sarà sempre superiore a qualsiasi presunto vantaggio.
SEI LIVELLI DI CONSAPEVOLEZZA
Scopo di questo articolo è quello di individuare e comprendere l’essenza dei vari livelli di consapevolezza, al fine di individuare un percorso evolutivo puro, cioè scevro dalle limitazioni dell’agire concreto e delle nostre preoccupazioni sulla coerenza. Sebbene le classificazioni in generale, anche in quanto tendenzialmente prodromiche rispetto all’attribuzione di etichette, siano da evitare e largamente disconosciute dall’Eusebismo, la schematizzazione dei livelli di consapevolezza ha un valore prettamente descrittivo, ma vuole altresì fungere da agenda.
Ho individuato sei principali livelli di consapevolezza, che ho disposto in ordine gerarchico, non già per formulare un giudizio, bensì per favorire l’adozione di un criterio di paragone.
Insomma, la domanda non è se siamo consapevoli, ma quanto lo siamo: l’esistenza – anche senza fare ricorso a concetti metafisici o presunti tali – è un continuo viaggio alla scoperta di sé e dell’altro da sé, o, se vogliamo, un cammino verso la liberazione. Riceviamo costantemente informazioni, esploriamo il nostro essere e quello altrui; in questo modo le nostre scelte divengono sempre più basate sulla conoscenza delle alternative, e sempre meno sulla superstizione e sul pregiudizio, o perlomeno così dovrebbe accadere.
Alcuni – pochi in verità – possiedono fin dalla nascita la capacità di comprendere e di solidarizzare con la massima ampiezza possibile: per molti questa capacità è destinata a rimanere una meta lontana nell’orizzonte della vita. Soltanto l’esperienza, cioè l’azione e la conoscenza, ci guidano attraverso i diversi livelli, rendendoci consapevoli e dunque liberi.
Provocare il male altrui non è mai un bene: questo assioma è iscritto nel nostro DNA, ma per molti risulta controverso appurare chi siano gli altri da non danneggiare. Ancora più arduo, poi, sarà comprendere che non esiste danno provocato ad altri che non si ripercuota su chi l’ha commesso, e che, dunque, non esiste alcuna forma di egoismo capace di avvantaggiare alcuno di noi.
Il viaggio nella consapevolezza parte da noi e in noi culmina, sebbene spesso gli occorra passare per livelli differenti: vediamoli.
PRIMO LIVELLO: CONSAPEVOLEZZA DI SE’
Al primo livello il sé è posto al centro dell’universo, poiché ci si antepone a tutto il resto e a tutti gli altri. Lo schema di pensiero tipico è: “Il mio bene prevale su quello altrui, e si può realizzare a prescindere da tutto il resto”. È una consapevolezza del tutto illusoria, che, fraintendendo il senso del sé, non riesce a collocarlo insieme ad altro, ma lo considera a sé stante.
Qualunque relazione, comprese quelle parentali, affettive e le amicizie, viene improntata al principio del “prendere”, considerando le proprie esigenze (o presunte tali) come sovraordinate a quelle altrui. Delinquere, strumentalizzare il prossimo, prevaricare e accumulare più cose degli altri viene considerato come una vittoria, poiché la rigida separazione ravvisata tra sé e altro da sé preclude la considerazione nei confronti di quest’ultimo.
SECONDO LIVELLO: CONSAPEVOLEZZA VERSO I PROPRI CONGIUNTI
Al secondo livello di consapevolezza la cerchia degli interessi viene estesa ai congiunti prossimi, o, più in generale ai gruppi nei quali ci si identifica o si ritiene – a torto o a ragione – di appartenere. Azioni moralmente sbagliate, o, perlomeno non giustificabili, non sono più considerate soltanto quelle a danno proprio, bensì anche tutte quelle atte a danneggiare i più vicini. Potremmo altresì definire questo livello come quello del “proprio giardino”: riconosciamo l’importanza di cose e persone in modo prettamente egoistico, a ragione dell’attaccamento che nutriamo nei loro confronti, e per la paura della sofferenza che ci deriverebbe dalla loro privazione.
A questo livello, che probabilmente è il più diffuso tra gli esseri umani, si distingue nettamente in base a un pregiudizio elementare: “chi mi sta a cuore merita maggior considerazione di chiunque altro”.
Anche in questo caso delinquere o strumentalizzare è ammesso, purché avvantaggi i nostri congiunti: che si tratti di una “raccomandazione”, dell’accordare una corsia preferenziale allorché abbiamo il potere di farlo, o perfino di uccidere per vendicare o per prevenire il male del nostro congiunto, tutto può divenire lecito.
È, questo, il livello che contraddistingue azioni e persecuzioni di massa, dalle guerre di invasione, dalle crociate, dall’Olocausto, al semplice tifo da stadio: l’illusoria persuasione che siamo divisi in gruppi e che il benessere di uno di questi può derivare dalla strumentalizzazione degli altri ha provocato e continua a provocare i più grandi conflitti umani.
TERZO LIVELLO: CONSAPEVOLEZZA DI SPECIE
Al terzo livello, che potremmo definire il paradigma del pensiero del XX secolo, si rinuncia parzialmente al pregiudizio e all’egoismo che hanno caratterizzato i livelli precedenti, riconoscendo diritti e interessi altrui, anche a prescindere dall’utilità che ce ne può derivare o dall’attaccamento nei loro confronti.
Molti pensatori, anche del nostro tempo, si impegnano attivamente e disinteressatamente affinché vengano riconosciuti diritti delle minoranze, contro la fame nel mondo, contro le discriminazioni e a favore della pace tra gli uomini.
Benché sia soltanto a partire da questo livello che comincia a verificarsi una vera e propria presa di coscienza, che si manifesta in un’etica non prettamente egoistica, permangono limiti notevoli sostanziali, improntati agli stessi principi che caratterizzavano i primi due livelli: sebbene la schiera dei soggetti moralmente rilevanti sia notevolmente estesa, permane una discriminazione arbitraria.
In molti questo livello è conflittuale rispetto al precedente, cosicché pensieri e azioni finiscono per essere spesso incoerenti: si professa, per esempio, l’eguaglianza di tutti gli esseri umani, ma poi si considera un bene il fatto che la propria nazione prevalga su altre, oppure che un gruppo organizzato sopravanzi gli altri.
QUARTO LIVELLO: CONSAPEVOLEZZA DELLA VITA ANIMALE
Al quarto livello di consapevolezza si verifica un ulteriore allargamento di vedute, o, per dirla altrimenti, uno spostamento nella linea della discriminazione. Non una rimozione completa. In Occidente questo pensiero è andato affermandosi soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo e viene spesso connotato come antispecismo (definizione, peraltro, da me contestata e ritenuta erronea e fuorviante): l’egoismo è inferiore rispetto al terzo livello e, almeno in teoria, ci si considera equiparati a tutti gli esseri animali.
Qui nasce la coscienza dei cosiddetti “diritti animali” e la lotta per interessi sempre più distanti dai propri: rispetto alla consapevolezza di specie viene sicuramente meno quel sospetto di egoismo sotteso alla rivendicazione di tutele che, seppure non ci riguardano direttamente, potrebbero riguardarci. Ad esempio, se è vero che lottare per il diritto alla salute umana non significa necessariamente soddisfare una propria esigenza immediata, è pur vero che un domani ciò potrà avvantaggiare anche noi; altrettanto non può dirsi, per esempio, allorché si sostiene il dovere di salvaguardare una specie diversa dalla propria, o l’erroneità del mangiare altri animali.
Chi ha realmente raggiunto questo livello non preferisce il proprio cane domestico alla mucca usata per sfamarlo, nè tantomeno si sfamerebbe egli stesso di un altro animale, né lo indosserebbe o rimarrebbe indifferente a chi lo fa.
QUINTO LIVELLO: CONSAPEVOLEZZA DELLA VITA
Che cosa sia “vita” in realtà siamo noi stessi a definirlo, adottando delle convenzioni e basandoci su conoscenze “scientifiche” estremamente limitate: con questo termine intendo dunque riferirmi esattamente a ciò che, oggi, viene generalmente considerato tale, cioè vivo. Ciò non significa che io condivida questa impostazione, e, anzi, la considero assai fuorviante.
A questo livello di consapevolezza siamo in grado di percepire come “simili” anche le forme di vita vegetali, per esempio riconoscendo il valore intrinseco di una pianta e rifiutandoci di considerarne il danneggiamento come irrilevante. Si tratta di un pensiero che, perlomeno nell’Occidente contemporaneo, non ha ancora trovato affermazione, se non in isolatissimi casi.
Una delle conseguenze coerenti con il quinto livello sarebbe il rifiuto di mercificare tanto una pianta, quanto qualsiasi essere animale: saremmo così in grado di considerare l’abbattimento di un albero o di una intera foresta come mali in sè e per sè, a prescindere dal danno che ne possa derivare a noi o ad altri animali.
L’ideale alimentare, a questo livello, è quello frugivoro, che non mette in discussione neppure l’esistenza di una pianta a vantaggio di quella animale o prettamente umana. La corrente di pensiero più all’avanguardia in questo caso è il biocentrismo, che pone ciò che si ritiene vita al centro di tutto.
SESTO LIVELLO: CONSAPEVOLEZZA DEL TUTTO
Soltanto al sesto livello di consapevolezza si può dire, realmente, di avere smesso di spostare la linea della discriminazione, eliminandola del tutto e rinunciando a considerare se stessi quali arbitri altrui. I concetti – labili e arbitrari – di “specie”, “regno”, “vita”, etc., lasciano il passo a una comprensione più ampia e priva di pregiudizi, che rinuncia a classificare in vista di qualsiasi discriminazione, che consente di sperimentare un senso di appartenenza illimitato.
La concezione dell’essere reale prevale su quella dell’essere virtuale, tutto può essere ricondotto a uno, ed è proprio a questo punto che qualsiasi concezione egoistica perde significato, al pari dei concetti di “sè” e “altro da sè”, che vengono riconosciuti come descrizioni fuorvianti di una realtà unica e non dicotomica.
A questo livello la nostra libertà raggiunge la sua massima espressione, attraverso la consapevolezza più profonda del senso di tutto ciò che esiste e del nostro relazionarci ad esso.
CONCLUSIONI
A quale meta ambire, sta soltanto a noi deciderlo: l’unica certezza è che il processo di consapevolezza non può mai venire da “fuori”, bensì soltanto dalla nostra libera determinazione. Quante esperienze, quante sofferenze, quante delusioni, angosce, ansie e frustrazioni sperimentare lungo il cammino della consapevolezza sta soltanto a noi deciderlo: ognuna di quelle circostanze, o stati d’animo, rappresenta un’occasione per comprendere qualcosa che ancora non abbiamo compreso. Il numero di volte che dovremo sperimentare le situazioni che consideriamo sgradevoli dipende esclusivamente dalla nostra capacità di mettere a frutto il nostro potenziale: quanto più saremo capaci di estendere la schiera della nostra considerazione fuori di noi stessi, tanto più sereno sarà il nostro cammino.
Il massimo augurio che possiamo rivolgere a noi stessi è quello di acquisire una consapevolezza sufficiente a far cadere qualsiasi nostra barriera mentale a realizzarci in una dimensione assoluta, ben al di là di quei microscopici appagamenti egoistici che sperimentiamo quotidianamente.