Ogni tanto, per distinguersi, qualcuno decide di coniare un neologismo: chi per identificare qualcosa di nuovo, altri semplicemente per descrivere qualcosa di preesistente, attribuendovi una particolare interpretazione.
In questi ultimi anni sono stato associato, invitato a prendere posizione e interpellato svariate volte e a vario titolo in relazione ad alcuni di questi termini: in particolare “specismo” e “carnismo”. Entrambi sono stati coniati da degli psicologi, che hanno inteso attribuire una rilevanza ideologica a comportamenti largamente invalsi nella società occidentale e che, a loro avviso, non sarebbero dettati da mera emulazione, bensì da una vera e propria inclinazione ideologica fondata su precisi assunti: in un caso la superiorità della specie umana, nell’altro – non è ben chiaro quale sia l’assunto – la volontà di mangiare carne.
Ma che cos’è un’ideologia? Da cosa è contraddistinta? Una definizione è quella di “complesso dei presupposti teorici e dei fini ideali di un partito, di un movimento politico, sociale, religioso” (Enciclopedia Treccani). Si può senz’altro dire che l’agire in modo ideologicamente orientato presuppone un’elaborazione preliminare (la creazione o l’adesione all’ideologia), un momento critico (un tale comportamento è conforme all’ideologia?), un’esecuzione (se è conforme all’ideologia) o un’astensione (se è contrario all’ideologia).
Il movimento nazionalsocialista si basava su un’ideologia razzista, così descrivibile in quanto – tralasciando le altre prerogative – fondava la discriminazione sull’appartenenza razziale: le “razze” oggetto di discriminazione non erano casuali, generiche, o tutte quelle diverse dalla “razza ariana”; esistevano precise regole e gerarchie nelle discriminazioni, tanto che alcuni dovevano essere eliminati fisicamente (ebrei, zingari, etc.), altri asserviti (slavi), altri ancora purificati (inglesi), e così via.
Nel pensiero nazionalsocialista gli ebrei non erano privati di diritti al fine di poterli sfruttare, ma in quanto considerati impuri, dannosi e detestabili: la loro estromissione sociale o eliminazione fisica non era conseguenza di altri interessi e non era un mezzo, bensì il fine vero e proprio.
Gli africani importati in America come schiavi non lo erano stati per motivi ideologici, cioè in quanto – per esempio – si riteneva necessario farlo in ottemperanza a un dovere morale: molto più semplicemente, come in tutta la storia umana, erano i forti che sfruttavano i deboli. Così era per i romani vittoriosi che portavano in catene i nemici per farne schiavi di Roma, così per gli africani, come per i nativi americani e per innumerevoli casi più o meno noti alla storia (e alle cronache contemporanee).
Volendo fare un raffronto con quanto sopra, non riesco a ravvisare alcuna analogia tra l’atto ideologico del razzismo nazista e quello del mangiar carne o dello sfruttare gli animali, che rappresentano semplicemente la manifestazione di quel principio innato nella maggior parte di noi per cui se qualcosa ci fa comodo e non ci impone sacrificio, allora abbiamo tutto il diritto di farlo.
Il fatto che le difese di abitudini consolidate quali il mangiar carne o lo sfruttare i non umani vertano sull’ipocrisia o su banali meccanismi di autodifesa, o su luoghi comuni culturali e sociali, non può spingere alcun serio ricercatore a considerarli come impianti ideologici realmente fondanti taluni comportamenti.
A parte il fatto che “carnismo” rappresenta semplicemente una specificazione di “specismo” e che, quindi, non è neppure un’espressione dotata di qualsivoglia autonomia concettuale, entrambe le espressioni sembrano o il risultato di una inverosimile ingenuità – consistente nel prendere per vere e fondanti le “giustificazioni” di chi sfrutta i non umani – o una semplice manovra di self-marketing volta a promuoversi come autori.
La pericolosità insita nell’accettare simili tesi consiste proprio nel creare, e dunque diffondere, quella stessa ideologia che in realtà non esiste… ma ora esiste grazie a Ryder e Joy! Oggi qualcuno può invocare un impianto ideologico a giustificazione dello sfruttamento dei non umani da parte sua: l’impianto predisposto da due Animal Rights Advocate! Oggi possiamo alimentare ancora di più la divisione, mentale, dunque poi anche materiale, tra “noi” e “gli altri”, etichettando come “specisti” quelli al di là della barricata e noi, buoni, come “antispecisti”. Per fortuna non ho ancora sentito parlare di “anticarnisti”, ma del resto la definizione di partenza è così traballante che si stenterebbe a comprendere “anticosa” essere.
Cari Richard Ryder e Melanie Joy, e cari tutti i loro estimatori: guardiamo in faccia la realtà e prendiamo atto che, semplicemente, noi viviamo in una parte del mondo definita “società occidentale” e dotata di sue abitudini, stili di vita, credenze e convinzioni. Prendiamo atto che non esiste alcun “jeansismo” alla base del fatto che noi usiamo i jeans e i mediorientali no, nessun “televisionismo” che ci spinga a guardare la tv per motivi ideologici, né tantomeno “cravattismo” che ci induca a indossare quell’inutile orpello: si tratta semplicemente di abitudini largamente invalse e inculcateci dalla società non già per ideologia, ma per semplice consuetudine.
Se volete lottare contro i mulini a vento, addirittura arrivando a creare voi stessi quei nemici che poi vi ravvisate, fate pure. Ma fatelo senza l’Eusebismo, che non è nato come termine vuoto per dire qualcosa che già c’era, bensì come vocabolo scelto con cura per rappresentare un pensiero nuovo e svincolato da qualsiasi altra influenza, suggestione o modello, capace di offrire dei parametri con i quali rapportarsi non solo a una specie o a una razza, ma a tutto ciò che esiste: diversamente, fra 10 anni, 100 anni, 1000 anni, saremo ancora qui a spaccare in quattro indifesi capelli, per appurare quale specie di mollusco sia meritevole di tutela, quanto sia il Q.I. minimo per accedere a una professione, quale sia la codifica del DNA che ci rende idonei a fare i politici, etc.