Politica

Perchè, fra tante idee, ideali e filosofia, occuparsi di politica? E’ semplice: la politica è il solo strumento per trasformare le idee in azioni, per attuare quel cambiamento che tutti invochiamo e che quasi mai abbiamo la forza, la volontà o la capacità di tradurre in fatti concreti.

Il potere politico è spesso frutto ed espressione di quello economico ed è per questo che proprio i più idealisti ne rifuggono, sdegnati dalle commistioni e dalle manipolazioni, dai clientelismi e favoritismi, dal lobbismo e dalle strumentalizzazioni della politica. Ma il risultato qual è? Certo non quello di impedire agli individui meno degni di scalare il potere e, anzi, proprio allorchè gli animi “puri” si autoescludono dal sistema, lasciano libero il campo a tutti gli altri, finendo per esserne subalterni.

L’organizzazione sociale umana non consente di emarginarsi, salvo naturalmente che si decida di vivere in eremitaggio: si può scegliere di governare o essere governati, di votare o non votare, ma non si può scegliere se partecipare alla politica o meno, poichè ciascun membro di una collettività ne è partecipe, attivamente o passivamente.

La soluzione dei problemi nel sistema politico della maggior parte dei paesi occidentali è strettamente dipendente dalla questione chiave legata al rapporto tra economia e politica: maggiori sono i costi di una campagna elettorale, tanto più i candidati dovranno ricorrere a finanziamenti, “favori”, aiuti di vario genere e, insomma, legarsi a rappresentanti di interessi privati che come tali non possono che anteporli a quelli pubblici.

Anticamente non mancava certo il legame tra potere economico e politico, che tuttavia affondava le radici in motivi alquanto differenti: erano, infatti, soltanto nobili (prima) e ricchi (poi) a potersi permettere di fare politica e perfino ad esservi ammessi.
Sono occorse molte battaglie affinchè le moderne democrazie riconoscessero diritti elettorali attivi e passivi universali e, soprattutto, affinchè venissero introdotte apposite garanzie atte a consentire la partecipazione alla politica di tutti i cittadini che ricorrono al lavoro per sostentarsi e che, pertanto, soltanto con cariche remunerate possono assumere funzioni pubbliche.
Ma quegli stessi stipendi che inizialmente avevano consentito di emancipare la politica dalla ricchezza e dalla nobiltà sono poi divenuti il fine principale delle aspirazioni politiche di molti, votati appunto non già a mettersi al servizio dei propri concittadini e del bene collettivo, ma soltanto a conseguire remunerazione e potere.
Non esiste nessuna reale democrazia in un sistema che impone ai candidati l’obbligo di essere sostenuti da un partito e di investire ingenti somme di denaro per conseguire voti: di fatto – come si è visto – ciò ha determinato il ritorno alla profonda commistione economia-politica caratteristica dei tempi remoti, ma con alcune varianti peggiorative.

Se nel mondo romano era evidente che i nobili (Patrizi) esercitassero il potere favorendo in primis la propria casta, oggi i collegamenti non sono così evidenti e univoci, bensì celati e occulti, cosicché risulta difficile per i governati comprendere le reali intenzioni sottese a determinate scelte politiche e legislative.

Come si può, oggi, risolvere il problema della corruzione e della strumentalità della politica?
Per prima cosa occorre garantire una reale parità di diritto ad accedere alle cariche elettive, limitando per legge costi e mezzi ammessi per concorrere: oggi ciò potrebbe essere ottenuto semplicemente predeterminando i canali di comunicazione e attribuendone in egual misura a ciascun candidato, affinchè tutti possano avere il proprio spazio al pari degli altri e siano le persone a prevalere, anzichè facili slogan o campagne pubblicitarie.

Strumenti possibili per candidature democratiche sarebbero Internet, Radio e Televisione, nonchè spazi pubblici per l’incontro fisico con le persone: attraverso la Rete ciascun cittadino potrebbe visualizzare le idee dei candidati e avere modo di ragionare prima di decidere, mentre nei dibattiti ci sarebbe spazio per i confronti. Così si risparmierebbero tonnellate di carta tra manifesti, volantini, biglietti, lettere, etc. e, soprattutto, non si consentirebbe la prevalenza di chi è più danaroso o in grado di conseguire maggiori finanziamenti.

Naturalmente un momento essenziale nella trasformazione riguarderebbe l’inversione di prospettiva e la riconduzione del sistema ai corretti principi ispiratori: chi è eletto rappresenta e si sacrifica in nome della cosa pubblica e le sue funzioni costituiscono un onere prima che un onore.
L’annullamento di benefici e privilegi, a partire da stipendi superiori alla media, è un metodo essenziale per garantire che le ambizioni politiche perdano la loro componente di interesse economico egoistico e ritornino ad essere l’unica cosa ammissibile, cioè slancio dei singoli a servire la collettività.

Governare un paese deve essere considerato un po’ come amare qualcuno profondamente: così come l’amore vero non cerca interessi e si dona anche quando non trova riscontro e quando richiede sacrificio, ad altrettanto deve essere votata la politica.

Citando JFK, allorchè un cittadino decide di intraprendere l’agone politica, non dovrà domandarsi cosa la collettività possa fare per lui, bensì lui per essa.