UN GIORNO SENZA RIFIUTI

Guardo indietro e mi sembra impossibile: bottiglie di plastica, tovaglioli di carta, barattoli di latta, fogli di alluminio, fogli di plastica, scatole di cartone, pagine di carta, posate di plastica, batterie, olii, e poi confezioni di ogni tipo, genere, sostanza e forma. Già, perché neppure la frutta puoi portartela a casa dal supermercato senza scatole di cartone o di plastica, sacchetti, etichette di carta (e colla), etc.

Un americano medio produce 2 kg di rifiuti al giorno, dicono. Non mi risulta difficile credere che in buona misura partecipino quegli onnipresenti contenitori per bibite, che, muniti degli ormai immancabili accessori quali base d’appoggio, coperchio e cannuccia, sembrano un elemento dell’abbigliamento o un’appendice del corpo, da quanto sono diffusi. Eppure non sono né abiti né appendici: durano giusto pochi minuti, quelli necessari ad appagare uno stimolo eteroindotto e del tutto superfluo, riempiendo forse più la testa che il corpo, ma sicuramente avvelenando entrambi.

trash africa

Il rifiuto è figlio per eccellenza del consumismo e direttamente (esponenzialmente?) proporzionato ad esso: affermare che il consumismo rappresenti il progresso equivale pertanto ad affermare che anche la produzione industriale di rifiuti lo sia.

La propaganda del riciclaggio è nient’altro se non lo strumento necessario per rallentare il declino del consumismo, da un lato illudendo i consumatori che si possa essere rispettosi dell’ambiente pur circondandosi di cose inutili, e, dall’altro lato, arginando l’ovvia diminuzione delle materie prime oramai sovrasfruttate e in alcuni casi in via di esaurimento.

Sarebbe un errore considerare soltanto la questione ambientale sottesa alla produzione di rifiuti: la cultura dell’”usa e getta” è limitata agli oggetti materiali, ma fa parte del nostro tempo, di una società così presa dall’accumulo che non è in grado neppure di ricordare a che scopo stia accumulando. Non siamo formiche che raccolgono in estate per sopravvivere l’inverno, bensì cicale che si trastullano per la vita intera, pur obbedendo all’ancestrale istinto di “formiche” di accumulare cose, ma fini a se stesse.

Rinunciare al consumismo, a produrre rifiuti, ad appagare stimoli eteroindotti e false necessità, non rappresenta una frustrazione, bensì una liberazione: la chiave di questo cambiamento non consiste nel “rassegnarsi” a limitare se stessi, sprecando meno, bensì nel riconquistare il vero senso delle cose, dell’esistenza, dei rapporti, del nutrirsi e dell’ambiente.

La concezione funzionalista e utilitarista dell’altro da sé (ambiente o esseri senzienti che siano) è alla base del peggiore dei mali immaginabili: la perdita dell’identità. Noi non siamo ciò che vorremmo essere, bensì ciò che altri vogliono che siamo.

Un po’ come quelle donne islamiche che affermano di indossare il velo per propria libera scelta, siamo così immersi nella cultura del consumismo, da considerarci liberi agenti, mentre costruiamo le pareti delle nostre stesse prigioni, schiavi di mode, tendenze, marchi e lavori (necessari per procurare il resto), di cui mai avremmo avvertito la necessità in un altro tempo o in un altro luogo.

Liberi dai rifiuti, liberi dalla schiavitù dei consumi, dalla mancanza di tempo “libero”, dalla dipendenza morale e materiale di chi raccoglie i frutti di un pianeta intero facendoli propri e rivendendoli agli altri suoi simili a caro prezzo (molto più caro di quello che crediamo di pagare attraverso i soldi): libertà, non povertà. Con questo “mantra”, giorno dopo giorno, potremo imparare a guardare con occhi diversi le nostre azioni, scelte e consumi, fino ad arrivare a “un giorno senza rifiuti”.

Proprio questo potrebbe essere un esercizio per “allenarci”, per sperimentare, comprendere, imparare, come si può vivere senza danneggiare se stessi e gli altri, o perlomeno diminuendo il proprio impatto: almeno una giornata, nazionale o mondiale, in cui ciascuno si astenga dal produrre rifiuti. Non comperare né utilizzare nulla che produca rifiuti, né produrne in proprio, eccetto gli “avanzi” naturali di alimenti vegetali (bucce, semi, etc.): già soltanto soffermarci a pensare come riuscirci ci consentirebbe di accorgerci di quanti gesti quotidianamente diamo per scontati, senza neppure considerare le alternative.

Riusciremo mai a vivere un giorno senza rifiuti? Riusciremo mai a vivere un giorno liberi?

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