Tra tutti i comportamenti umani ce n’è uno che pregiudica tutti i diritti di tutti gli altri terrestri: senza intervenire su di esso non ha senso parlare di rispetto per le persone, per gli animali o per l’ambiente… eppure è un comportamento considerato normale, consolidato, riconosciuto e tutelato dalle leggi. Riuscite a immaginare quale sia?
Molte persone considerano del tutto normale il mondo in cui vivono, dando per scontato che quello che fa la società in cui sono cresciute sia necessario e, al limite, da migliorare in modo più o meno marginale.
Alcuni mettono in discussione la propria contemporaneità e rifiutano di considerare normale ciò che il loro senso critico induce a ritenere sbagliato: quasi sempre anche loro sono talmente influenzati dalla società cui appartengono da non essere in grado di emanciparsi appieno dai suoi presupposti e finiscono così per schierarsi a favore o contro costumi consolidati, senza tuttavia immaginare qualcosa di semplicemente diverso e non correlato.
Ad esempio ci si può sentire consumatori etici acquistando automobili ibride che funzionano a petrolio ed energia elettrica, oppure scegliendo di nutrirsi soltanto di vegetali, oppure ancora coibentando la propria abitazione in modo più efficace per limitare l’uso del riscaldamento artificiale: a mio parere tutto ciò che sfocia in un minore impatto o danno ad altri è qualcosa di auspicabile, ma occorre possedere un sufficiente discernimento per comprendere quando si stia realizzando davvero il massimo, e quando invece si pratica un semplice compromesso.
Oggi ci illudiamo di poter rispettare l’ambiente, e quindi i suoi abitanti (animali umani e non), pur praticando l’agricoltura, pur costruendo strade, palazzi e beni di consumo a oltranza, incapaci di accorgerci della più grave minaccia ai più fondamentali diritti altrui: l’occupazione di suolo.
In natura ciascuno usa, delle risorse, ciò che gli occorre, secondo una logica di equilibrio che mantiene in funzione il circolo dell’esistenza: troppi erbivori vengono ridotti dall’aumento di predatori, che a loro volta soccombono allorchè il numero diviene sproporzionato, e così via. Lo stesso albero che offre rifugio a innumerevoli volatili, mammiferi, insetti, etc., produce ossigeno, assorbe l’acqua in eccesso dal terreno e può produrre preziosi frutti: c’è, insomma, un reciproco interesse, una reciproca soddisfazione di necessità, che si manifesta in un circolo virtuoso.
Poi arriva la società “civilizzata”: abbatte quell’albero per farci della carta, oppure per coltivare, o per fare un pascolo, o costruire una strada o un palazzo. Tutte le forme di vita, vegetale e animale, che dipendevano da quell’albero e dal terreno circostante, perdono automaticamente il diritto a esistere, a nutrirsi, a ripararsi, ad avere una casa, il nutrimento, la possibilità di riprodurre la propria specie. Quell’albero, quel suolo, non “appartenevano” a nessuno, proprio come noi, eppure qualcuno si è arrogato il diritto di disporne e nel farlo non ha violato soltanto il diritto alla vita di quella pianta, ma anche tutti i diritti di animali umani e non umani dipendenti: quando un albero abbattuto diventa 10, 100, 1 milione, 1 miliardo, 10 miliardi… quanti diritti sono stati violati? Quante creature sono perite per questo? Quante non verranno mai ad esistenza? Quanta aria pulita in meno respireranno tutti i terrestri del mondo?
Ma non è finita: oggi si parla tanto di “diritto alla casa” come di uno fra quelli principali della persona. Che cos’è questo presunto diritto che tanti politici strumentalizzano per ottenere la fiducia e il voto delle persone? È forse il diritto a lavorare tutta una vita per potersi permettere di pagare un mutuo ad una banca per acquistare qualcosa che altri hanno costruito, appropriandosi di un bene comune (e non solo agli umani)?
Come può considerarsi esercizio di un diritto qualcosa che richiede di pagare qualcun altro affinchè faccia qualcosa? L’unico vero diritto alla “casa” è quello allo spazio vitale, alla natura da cui trarre vita e sostentamento, anziché dover pagare altri che si arricchiscano per farlo nel modo più proficuo (e dannoso) possibile.
Le dimore di una società realmente civilizzata non possono e non potranno mai presupporre la distruzione sistematica dell’ambiente in cui si inseriscono, a partire dall’abbattimento delle piante e proseguendo con l’uccisione di tutte le forme di vita che si ritengono “parassitarie” o fastidiose, quali animali selvatici, insetti, volatili, etc.: l’unico futuro possibile non auto ed eterodistruttivo e realmente etico impone di ritirarsi dall’occupazione di suolo spropositata ed egoistica compiuta negli ultimi secoli, garantendo davvero che ciascuno possa scegliersi dove abitare e permettendo che ciò avvenga in armonia con tutti gli altri.
Non ci può essere rispetto per nessun animale, umano o non umano, simile o meno simile, senza comprendere questo elementare principio: qualsiasi attività che determini un uso esclusivo del suolo pregiudica i diritti di tutti, presenti e futuri.