Ritengo che esistano tre ordini di argomenti differenti che, a partire da prospettive differenti, suggeriscono la medesima conclusione, cioè l’esigenza di improntare al rispetto il proprio rapporto con l’altro da sé e, in particolare, con quello che si considera “diverso”.
Non prenderò in considerazione il rispetto formale, ma soltanto quello sostanziale: è insomma escluso dalla definizione rilevante quel comportamento artato, che non è dettato da un moto interiore, ma semplicemente da ragioni contestuali od opportunistiche, come per esempio la captatio benevolentiae del debole nei confronti del forte. La condotta sostanziale che mi interessa prescinde dalle logiche di comodo o di induzione socio-culturale, poiché in quei casi si verifica una strumentalizzazione o una semplice imitazione/ritualizzazione: tributare rispetto a un superiore, a un capo o a un potente non è altro se non un mezzo per conseguire un fine, oppure l’adesione pedissequa allo stereotipo sociale cui l’individuo non si rende conto di partecipare o che non intende sovvertire.
Sommariamente i tre argomenti hanno le seguenti nature:
1) Approccio etico (agisco con rispetto poiché lo reputo giusto)
2) Approccio altruistico (agisco con rispetto poiché mi sta a cuore il bene altrui)
3) Approccio egoistico (agisco con rispetto poiché mi sta a cuore il mio stesso bene)
1) Approccio etico
Nell’approccio eusebista, riconoscendo l’unità del tutto e la virtualità del mondo sensibile, le stesse definizioni di “altro da sé” e “diverso” sono prive di senso e pertanto le utilizzo qui in modo convenzionale, attribuendogli il significato oggi socialmente invalso.
Il primo argomento è sintetizzabile nella formula “compiere il bene per il bene”, cioè una formulazione deontica del rispetto, in quanto considerato in sé e per sé giusto, dunque doveroso: è realmente un dovere agire con rispetto?
Non esiste teoria morale che possa prescindere dal concetto di rispetto (dei diritti altrui, delle norme, etc.): semmai le questioni controverse sono “chi”, “come” e “perché” va rispettato.
Tanto il giusnaturalismo, quanto l’utilitarismo, il deontologismo, il contrattualismo, etc., formulano teorie morali che si sforzano di rispondere ai quesiti di cui sopra, ma sono tutte fermamente ancorate al punto di vista di chi le formula, al suo tempo e alla sua cultura: è per questo che, per quanto esse possano spostare i confini e mutare le forme, non riescono a superare i limiti della soggettività.
Tralasciando il problema dei limiti di altre concezioni morali, è importante cogliere che tutte, a vari livelli, invocano il rispetto delle altrui esigenze e benessere e l’Eusebismo non fa differenza, salvo nell’estendere l’applicazione del concetto a tutti, indiscriminatamente e senza lasciare che il punto di vista soggettivo interferisca con le conclusioni.
Chi dobbiamo rispettare? Tutti, poiché se non si rispettasse qualcuno, non si rispetterebbe nessuno, ed inoltre, iniziando a discernere, si starebbe gettando il seme della discriminazione e adoperando un criterio arbitrario: per quanto improntato alla logica, infatti, il processo non potrebbe non risentire delle inclinazioni di chi lo effettua.
Come rispettare tutti? Ciascuno in relazione alla sua natura: non esiste un codice assoluto del rispetto e, poiché ogni cosa e persona sono differenti, la condotta realmente rispettosa dovrà tenere in considerazione le differenze e adeguarvisi. Anche in questo caso un errore tipico, frutto della prospettiva soggettiva, è quello di ergersi ad arbitri delle altrui aspettative o esigenze, formulando criteri che non potranno essere svincolati dal “qui” e “ora” dell’osservatore, né, di conseguenza, sottratti ai relativi limiti.
Perché praticare il rispetto dalla prospettiva etica? In quanto via imprescindibile per la realizzazione dell’equilibrio, che assurge dunque anche a parametro universale: non ci può essere equilibrio senza rispetto, né viceversa.
Non ci può essere un limite inferiore del rispetto, cioè soggetti cui estenderlo o modalità con cui espletarlo, talmente estesi da rendere censurabile l’operazione: chi critica le scelte altrui dettate dal rispetto probabilmente lo fa per difendere la propria condotta, legittimandola attraverso la delegittimazione di quella altrui.
In un mondo perfetto (cioè perfettamente equilibrato) ciascuno avrebbe la perfetta conoscenza e comprensione di tutto ciò che lo circonda, dunque sarebbe in grado di rispettarne la natura, le aspettative e l’esistenza in generale, a prescindere dalla sua prospettiva e dalle proprie finalità: nel mondo imperfetto (in quanto squilibrato), possiamo senz’altro indirizzare i nostri comportamenti verso quel faro ideale del rispetto assoluto, che garantirà la realizzazione dell’equilibrio.
Naturalmente non si tratta di un procedimento digitale, cioè in cui le uniche condizioni possibili sono “acceso” o “spento”, “pieno” o “vuoto”, bensì di un processo analogico in cui ogni cambiamento improntato al rispetto ha valore di per sé e determina una ricaduta nell’ambiente circostante.
2) Approccio altruistico
L’approccio altruistico al rispetto, che potremmo definire come “compiere il bene per il bene altrui” è basato essenzialmente sull’empatia, cioè sulla capacità di comprendere i bisogni e le aspettative altrui e di godere attraverso la loro realizzazione.
Si potrebbe anche affermare che dietro all’altruismo si celi sempre una forma di egoismo, nel senso che chi realizza il bene di altri riceve appagamento nel farlo: simili valutazioni, di natura probabilmente psicologica, non inficiano comunque le circostanze, specie allorchè chi agisce per l’altro lo fa addirittura sopportando un sacrificio o subendo un patimento.
Chi non condivida l’impianto etico sotteso al rispetto altrui, oppure semplicemente non l’abbia mai affrontato, può ugualmente determinarsi ad agire in conformità con esso semplicemente per la volontà di rendere migliore l’esistenza di ciò che è altro da sé.
L’argomento altruistico ha maggiore efficacia nel rapporto con umani e animali in generale, poiché si fonda essenzialmente sull’empatia, dunque tanto più simile è l’espressività dell’altro, tanto maggiore sarà l’immedesimazione, e, dunque, la determinazione nel prevenire una lesione e/o nell’attenuarne le conseguenze.
D’altronde anche il rispetto improntato all’altruismo, a ben vedere, dovrebbe estendersi a ricomprendere non solo i più simili, ma anche quei cosiddetti oggetti “inanimati”, che – in quella prospettiva – sono considerati meramente strumentali: come si può rispettare un gorilla se non si rispetta la foresta, che ne rappresenta la fonte di sopravvivenza? Come si può rispettare le persone, se si inquina l’aria e si contaminano le acque?
Insomma, anche limitando l’argomento altruistico a chi si considera (o è) più simile a sé, è necessario un ampliamento di vedute per poter comprendere che, pur continuando a considerare come meramente strumentali intere categorie (ciò che, comunque, l’Eusebismo contesta), il rispetto per il simile passa necessariamente anche attraverso il rispetto per esse.
3) Approccio egoistico
Prima di comprendere appieno il terzo argomento occorre una precisazione sulla natura dell’egoismo: tale comportamento non include soltanto l’anteporre se stessi agli altri, ma può estendersi a ricomprendere interessi di persone o gruppi collegati a sé.
L’egoismo “allargato” viene talora confuso per altruismo: lottare contro l’abbattimento di un albero che ci procura una piacevole ombra non ha niente a che vedere con il legarsi ad una pianta in mezzo alla foresta tropicale per impedirne l’abbattimento, così come il fatto di impegnarsi per salvare bambini orfani all’altro capo del mondo non ha niente a che vedere con un imprenditore che rivendica la riduzione delle imposizioni fiscali a favore delle imprese.
Spesso si confonde anche l’effetto di un’azione con i suoi presupposti: una persona disabile che lotta per affermare i diritti dei disabili determina senz’altro un effetto auspicabile e non limitato al suo stesso beneficio, ma molto probabilmente agisce per motivi egoistici.
Come si fa a sapere se si agisce per egoismo o meno? Nel primo caso lo si fa appositamente per ricavarne un vantaggio, mentre nel secondo lo si fa nonostante costi un sacrificio: ecco dunque che ciascuno di noi può quotidianamente sottoporsi a questo semplicissimo test per verificare le ragioni sottese alle azioni.
Sgombrato il campo dagli equivoci sul tema dell’egoismo, possiamo concludere che tale è la condotta di chi compie bene per riceverne un bene: questo argomento, al pari dei due precedenti, è di per sé sufficiente a giustificare l’adozione del rispetto nei confronti dell’altro da sé; abbiamo infatti accennato alla correlazione tra equilibrio e rispetto e possiamo ora comprendere che contravvenire all’uno implica minare anche l’altro. Ma l’equilibrio non è altro se non una condizione di bilanciamento tra gli elementi di un sistema: tanto l’agente quanto l’agito partecipano di quel sistema, dunque di quell’equilibrio la cui alterazione ricadrà su entrambi.
Astrattamente un’azione dannosa per altri potrebbe essere esclusivamente vantaggiosa e priva di ricadute pregiudizievoli per qualcuno soltanto a condizione che i due soggetti si trovino all’interno di sistemi differenti e privi di interazioni, ma in tal caso, per definizione, non sarebbe possibile entrare in relazione, né provocare danni.
L’agire egoistico in spregio all’equilibrio e al rispetto è sbagliato, al di là delle implicazioni morali, in quanto incongruo rispetto alle finalità: chi traccia una linea di discriminazione nei confronti di altri subirà automaticamente la stessa sorte, poiché per il semplice fatto di aver legittimato quel modo di pensare non potrà poi esimersi dalle sue ricadute impreviste e dannose.
Chi disprezza il diverso sarà dal lato giusto della linea soltanto finchè non arriverà qualcun altro che sposterà il confine o ne invertirà il significato: allo stesso modo chi sceglie di delinquere sarà poi costretto a vivere ai margini della società per evitare di pagarne le conseguenze, chi inquina vivrà poi nell’ambiente che ha inquinato, e tutti loro avranno contribuito ad affermare e legittimare una mentalità che, se applicata da tutti gli altri, trasformerà continuamente i carnefici in vittime e viceversa.
Anche il peggiore egoista dovrebbe insomma concorrere a massimizzare il rispetto e l’equilibrio, poiché tanto ne spargerà nel mondo che abita, tanto potrà goderne e attendersene a sua volta.
In conclusione, non occorre essere eticamente orientati, oppure altruisti o egoisti, per manifestare rispetto e perseguire l’equilibrio: è sufficiente essere una qualsiasi di queste tre cose, mentre omettere di farlo discende essenzialmente dalla scarsa consapevolezza del sistema di cui si è parte e delle implicazioni delle proprie azioni.