VIVERE DISTRATTAMENTE

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Il vocabolario definisce il termine distrazione come “Stato del pensiero rivolto altrove, e perciò assente dalla realtà attuale e circostante” (Treccani).

Questa non è una critica sociale, ma una confessione. Non è fine a se stessa, ma vuole essere d’esempio e di stimolo a fare meglio, a non emularmi e a fruire della mia esperienza senza bisogno di sopportarne gli effetti deleteri.

È dai tempi del liceo che il monito di Sant’Agostino, riportato e fatto proprio da Petrarca nell’Ascesa al Monte Ventoso, mi accompagna affascinandomi, ma al tempo stesso mi è scivolato addosso come le frasi di quei rituali che si conoscono a memoria, ma che, seppur ripetute infinite volte nella propria testa – e anzi forse proprio per questo – sono oramai svuotate di significato pratico: “E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi”.

E sì che una volta non era neppure così facile viaggiare, trattandosi di un lusso riservato a una ristretta élite. Oggi, al contrario, il viaggio caratterizza costantemente le nostre vite: che sia per lavoro, per vacanza, per necessità o per semplice aspirazione personale al cambiamento, attraversiamo distanze che l’autore di quel pensiero, al pari di quell’altro che lo richiamò, non avrebbe mai neppure ipotizzato possibili. Ma soprattutto quegli autori non si sarebbero mai potuti figurare l’esistenza di qualcosa come la televisione o Internet, e tantomeno degli smartphone: oggetti che ci portano lontano anche senza spostarci di un passo, dislocando la nostra mente e la nostra attenzione in un altrove che non ha neppure un “dove”. Semplicemente “è”, non “qui” e non “ora”.

Vite eccezionalmente più ricche di quelle di un tempo, ma disastrosamente impoverite e svuotate: distratte.

Ecco dunque la mia sofferente confessione: sono stato distratto. Troppo e troppo a lungo. Pensavo che preoccuparsi dei mali del mondo, farsene carico sulle proprie spalle, e cercare quotidianamente di anteporre i problemi degli altri alla realizzazione della propria vita rappresentasse la soluzione all’indifferenza predominante in questi nostri tempi, e che potesse fare la differenza. E l’ha fatta, ma soltanto poiché ha portato l’inverno laddove c’era l’estate, sostituendo il grigio ai colori.

Certo, salvare il mondo è questione complicata e richiede molto tempo e tantissime risorse: così, mentre gli altri si impegnano a conquistare una posizione economica consolidata, a sposarsi, ad avere figli e a uscire il sabato sera con gli amici, tu ti ritrovi sempre in un vortice di richieste, domande, proposte, idee, persone, eventi, libri, conferenze, post, mail. E tutto e tutti sono importanti, tranne il tuo presente e chi ti sta accanto: quelle sono le vittime sacrificali della missione di salvare il mondo, o, perlomeno, di preoccuparsene.

Viviamo in tempi assai complessi: una volta tutti eravamo persone e le persone che intrecciavano le nostre vite e le nostre giornate erano poche, pochissime. Ciascuno era una persona, con una sua identità e specialità nella nostra vita, depositaria di una parte più o meno rilevante del nostro essere. Oggi la quantità ha sostituito la qualità, e in un certo senso siamo divenuti tutti fungibili. Ma di questo parlerò più diffusamente altrove, poiché rappresenta un argomento che merita ben più che poche parole incidentali.

Eccomi dunque, sono colpevole: ho contemplato le cime dei monti, flutti del mare, le correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e non solo. Perdonatemi, Francesco e Agostino, se così tanto svilisco questo vostro antico monito, accostandovi le tentazioni del mondo moderno, virtuale, informatizzato, accelerato e telematizzato: ho dissipato fiumi di parole, montagne di minuti e oceani di pensieri in qualcosa che semplicemente non esisteva. Ho lasciato scorrere accanto a me la bellezza, l’amore, la tenerezza e chissà quant’altro ancora, immolando tutto ciò per qualcosa che sembrava tutto e invece era niente.

Ora tocca citare anche Dante, poiché mi ritrovo qui, nel mezzo del cammino della mia vita, ad aver faticosamente ritrovato la retta via, solo, però, a dover fare i conti con tutto ciò che è rimasto sulla strada, ormai alle mie spalle.

E che cosa ne è di tutte quelle persone che sembravano doverci essere e poter ricambiare, restituendo dopo aver ricevuto? Probabilmente, semplicemente, sono lì a coltivare i propri orti, proprio dove erano e dove sono sempre rimaste.

Un giorno ti sembra di avere tutto, e quello dopo ti accorgi che non hai proprio niente. Credevi di poter fare la differenza, ma hai finito soltanto per distrarti, trascurando te stesso e quanto di vero c’era intorno a te. Anni, che sembravano soltanto sparuti momenti quando li vivevi, sono spirati così e ora sembra una montagna, che con tutta la sua altezza oscura il sole. Probabilmente non ce ne accorgiamo neanche, mentre lo facciamo, poiché ormai ciò che è a portata di mano ci sembra scontato e banale, e così lo trascuriamo per dedicarci a mondi e persone virtuali che in realtà non ci cercano perché hanno qualcosa da dare, ma semplicemente per prendere.

Si può essere distratti dai viaggi, dalla televisione, da Internet, e perfino dagli ideali, così vivendo 10,100 vite, senza però viverne bene neppure una.

Colpevole, dunque, di averci provato. Colpevole di aver provato a fare la differenza. Colpevole di non aver capito che la differenza, per ciascuno, può farla soltanto l’individuo per se stesso e nessuno per tutti gli altri. La pena qual è? Perdersi e perdere. Ritrovarsi così, nel mezzo del cammino della propria vita, per constatare che tutto ciò che abbiamo è il bene delle persone che ci accompagnano, e che se lasciamo che esso ci scivoli addosso, allora abbiamo perso proprio tutto.