DOVE ANDIAMO?

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DOVE ANDIAMO?

Terzo e ultimo, ma anche più pragmatico, fra i tre quesiti esistenziali più ricorrenti, merita oggi una riflessione tanto individuale, quanto collettiva: dove è diretto ciascuno di noi? E dove, invece, si dirige la nostra società?

Sembrerebbe difficile parlare di una sola società umana, considerando le enormi differenze tra le varie parti del mondo e le nazioni in cui abbiamo suddiviso il pianeta. Eppure la globalizzazione, che sembra accelerare esponenzialmente, sta omologando in modo sempre più vistoso popoli e genti che soltanto “ieri” erano agli antipodi.

Questa famigerata globalizzazione, alcuni la temono, altri la auspicano: c’è chi vuole tenersi le proprie consuetudini, e chi, invece, vorrebbe che si mescolassero con quelle altrui.

Apparentemente le mete individuali sembrerebbero del tutto separate da quelle collettive, ma in fondo la società altro non è, se non la somma e la combinazione di tutti gli individui che ne fanno parte.

In realtà ciò che temiamo nella società è il fatto che sia costituita… da nostri simili. Forse perchè, al di là delle ipocrisie, sappiamo perfettamente che il nostro modo di agire non è quello con il quale vorremmo essere trattati a nostra volta.

Ma andiamo con ordine: dov’è diretto, ciascuno di noi? La risposta – verrebbe da dire – può darla solo ciascuno per sè. Ma può farlo davvero?

Quanto tempo trascorre ciascuno di noi, quotidianamente, nel domandarsi quale sia lo scopo della sua vita, e cosa vi sia dopo? E’ difficile rispondere a questa domanda in modo generale. Forse, però, a voler generalizzare, si potrebbe affermare: “Sempre meno”. Trascorriamo sempre meno tempo nella assenza di distrazioni, e così, giorno dopo giorno, le nostre vite sono sempre più guidate dal pilota automatico.

Il pilota automatico che ci guida è quello che non utilizza il nostro sentire, pensare o dubitare, ma segue le mode, le pubblicità, le religioni, la politica, il tifo sportivo. Sì, perchè non esiste spiegazione genetica, cioè innata, che possa giustificare il fatto che chi nasce sotto una bandiera segua una religione, uno sport, una politica diversi dal suo confinante: se fosse libera scelta, dunque, dovremmo scoprire che in due nazioni confinanti, con religioni e sport nazionali differenti, metà degli abitanti di ciascuna abbia scelto la religione e lo sport dell’altra. Ma così non è.

Gli obiettivi, una volta, erano inculcati nella società attraverso le persone stesse che la componevano. Negli ultimi secoli i mezzi di comunicazione hanno veicolato i messaggi dei potenti verso il popolo, a partire dalla stampa e dalla sua divulgazione dei contenuti politici. Con l’avvento della televisione si è affermata una nuova leadership culturale e sociale: quella economica, attraverso la pubblicità (ma non solo).

L’avvento dell’informatica ci ha resi avidi comunicatori e ripetitori di segnali: ciascuno di noi, nominando, condividendo o comunicando, ripete innumerevoli volte nomi, marchi, eventi. Siamo le onde di uno stagno in cui qualcuno getta continuamente pietre. Soltanto che, proprio come le onde concentriche, che dal sasso si diramano, non siamo in grado di sollevarci dallo stagno, nè di guardare da dove vengano le pietre. Tantomeno potremmo domandarci chi, o perchè, stia gettando quei sassi.

Siamo una società sempre più controllata e manipolabile, perchè, come individui, siamo sempre meno capaci di porci domande – specie quelle fondamentali – e, invece, sempre più inclini ai facili appagamenti. Del resto, come potremmo sapere se esiste uno scopo nella nostra vita, oppure quale sia il nostro senso come individui? Tutto ciò che occorre sapere ce lo prescrivono dalla nascita, con una comoda scelta tra la fede in una religione o in una scienza, entrambe dogmatiche e restie al mettersi in discussione: l’etica che ci insegnano a scuola, e che dovrebbe indirizzare le nostre azioni, è anch’essa fideistica. Ci insegnano ad accumulare quanto più possibile, ma a mostrarci dispiaciuti per chi non gode dei nostri stessi beni materiali. Ci insegnano a compatire chi non ha soldi e a inseguire il lavoro. Ci dicono che come bravi cittadini dobbiamo pagare le tasse e non fare domande. Ci dicono che dobbiamo sposarci e avere figli, al punto tale che chi non può, per legge o per natura,  pur esaltando la propria diversità, finisce per agognare il matrimonio, cioè il simbolo per eccellenza dell’istituzionalizzazione dei sentimenti. Come se, davanti a un dio o ai propri sentimenti, si dovesse attestare l’espletamento di un passaggio burocratico. Come se, quando la voglia di stare assieme finisce, l’aver celebrato in modo altisonante quell’unione potesse aiutare… e invece aiuta solo a trascorrere altri anni fra tribunali, conti da pagare e litigi da sopportare.

Certo, viaggiamo sempre di più. Viaggiare educa e apre la mente. Purtroppo, sempre meno. Tra chi viaggia soltanto per “postare selfie”, chi per chiudersi in villaggi turistici o a bordo di città galleggianti che lasciano dietro di sè scie di morte e inquinamento senza pari, chi lo fa solo per aggiungere tacche al proprio portafoglio turistico, e chi lo fa in branco, restando del tutto impermeabile alle altre culture, anche il fatto di viaggiare sembra sempre più l’ennesimo sfizio di cittadini annoiati, anzichè il sogno della scoperta che un tempo fu.

Eppure ciascuno, dentro sè, avrebbe un universo da esplorare, se solo volesse.

Non è mai troppo tardi, per domandarsi: “Dove sto andando?”, se si accetta la risposta che verrà con cuore e cervello aperti. In fondo, dove andremo come società sarà sempre più determinato da dove andremo come individui. L’importante, però, è conoscere la destinazione, prima di partire.