IL MITO DELL’APPARTAMENTO

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Immagina che fin dalla nascita questi individui siano imprigionati all’interno di muri di cemento, separati e distaccati da tutti gli altri loro simili.

Immagina che coloro che li abbiano generati siano anche coloro i quali li costringono all’interno di quei muri, riempiendoli di intrattenimenti, oggetti colorati, stuzzicanti e accoglienti.

Questi individui, così nati e cresciuti, sarebbero convinti che il loro spazio sia entro quei muri, e che vada difeso a qualsiasi costo, specie in caso di conflitto con gli spazi altrui, o con l’esterno.

Nel lottare per difendere i propri muri gli individui di cui sopra sarebbero convinti di affermare la propria libertà, e considererebbero la distruzione di quei muri come una privazione, fino a patirne la mancanza e a non poter neppure concepire la propria vita senza.

Immagina dunque che all’interno dei muri siano posti dei dispositivi che forniscono immagini e suoni, e che attraverso quelli chi vi abita riceva una descrizione del mondo esterno. Quelli che vivono entro i muri, non entrando direttamente in contatto con le situazioni descritte dai dispositivi, sarebbero convinti dell’onniscienza e dell’infallibilità di chi li aziona. Così, ad esempio, se venissero informati dell’esistenza di una minaccia del loro spazio, agirebbero per tutelarlo, cercando di prevenire il verificarsi di quanto gli è stato prospettato. Il livello di preoccupazione sarebbe direttamente proporzionale all’entità della minaccia, e così i rimedi o le azioni preventive.

Non avendo informazioni dirette sulla maggior parte di quanto descritto dai dispositivi, gli individui finirebbero per anteporlo alle proprie idee, e anzi ad accettarlo come proprio, considerandosene subordinati e incapaci di affidarsi alle proprie esperienze dirette.

Questi individui finirebbero per considerare normale e necessario tutto ciò che i dispositivi gli rappresentassero, e anomalo e irrilevante tutto il resto: il fatto che non vi siano catene a tenerli vincolati con gli occhi verso i dispositivi, bensì comode poltrone e ampi divani, accentuerebbe la loro persuasione di essere liberi.

Immagina che uno di questi individui decida di spegnere il proprio dispositivo, abbandonare la poltrona e allontanarsi dai suoi muri: dapprima i suoi occhi stenterebbero ad abituarsi alla luce presente all’esterno, e tutto gli apparirebbe confuso e incomprensibile. Allontanandosi di poco, vedrebbe strade e palazzi, e si sentirebbe spaesato e terrorizzato, temendo di imbattersi in molestatori, rapinatori, assassini, terroristi, pirati della strada e violenti patologici. In breve si accorgerebbe che la realtà è ben diversa da quanto rappresentato dal dispositivo, e, allontanandosi ancora di più, si imbatterebbe in luoghi privi di strade e palazzi, e ricchi di vegetazione; qui temerebbe l’attacco di belve feroci e impietose, di batteri, virus e altre minacce alla sua sopravvivenza, considerando impossibile sopravvivere in mancanza di detersivi, saponi e medicine. In breve l’individuo allontanatosi dai muri realizzerebbe che quanto appreso al loro interno era una rappresentazione confusa della realtà.

Immagina ora che l’individuo fuoriuscito, dopo qualche tempo, faccia ritorno ai suoi muri, magari sporco e con abiti malconci oppure del tutto assenti, e riferisca ai suoi compagni l’esperienza appena affrontata. I compagni, paragonando le informazioni fornite dall’esule a quelle dei dispositivi, e paragonando il suo aspetto al loro, concluderebbero che questi abbia perduto la ragione, e abbia messo a rischio se stesso, prima, e loro, poi, essendo andato contro la natura delle cose.

Vista la pericolosità dell’individuo, i compagni adotterebbero misure per impedirgli di diffondere le proprie idee e riportarlo alla normalità della fede nel dispositivo e nei muri, ma, se non vi riuscissero, senza dubbio lo emarginerebbero, fino a ridurlo al silenzio o addirittura eliminarlo, se questi insistesse a volerli separare dalle poltrone, dai dispositivi o dai muri.