… Però abbiamo le lucine!

xmasIl negozio davanti al mio studio ha acceso le lucine, quindi adesso è ufficiale: il Natale è vicino.

Quando avevo tra i 5 e i 12 anni, circa, ricordo quanto era speciale quel giorno dell’anno: alzarsi presto per poter scartare i pacchi regalo e prendere ufficialmente possesso dei nuovi giocattoli, che tali – cioè nuovi – restavano per circa un paio di settimane, cioè giusto il tempo di ricominciare la scuola.

Sì, era proprio il massimo, da bambino, arrivare a quel momento dell’anno in cui si stava insieme, venivano i parenti… con i regali. E poi si stava tutti assieme… per mangiare… e per aprire i regali. Certo, poi magari il resto dell’anno non ci si vedeva perché c’erano impegni più importanti, come il lavoro: sennò come pagare tutti quei regali?

Ecco, giorni di magia e vicinanza, in cui sentire tutti vicini, ma più di tutti quelli che fanno i regali più costosi: sì, perché – diciamocelo – quando si dice “è il pensiero che conta”, in realtà pensiamo: “Promemoria: l’anno prossimo depennare questo tirchio dalla lista dei regali di Natale”.

“Che cosa voglio dimostrare a quella persona?”: questo è uno dei principi fondamentali ispiratori dello shopping natalizio, che nella sua versione più “cruda” suonerebbe pressappoco “Cosa voglio in cambio da quella persona?”. Quindi la scelta del regalo diventa un po’ un fatto politico: se vogliamo dire “ti amo” bisogna spendere, a seconda del reddito e del conseguimento che si intende ottenere, dai 250 ai n mila euro. Per esempio: guadagni 5000 euro al mese e vuoi dire “ti amo” a una persona che ancora non si sa se ti ricambierà? Allora un viaggio a Parigi potrebbe essere un “giusto prezzo”. Viceversa: guadagni 1000 euro al mese e stai già da anni con quella persona? Allora di sicuro si accontenterà di un regalo da 250 euro, forse meno. Certo, poi bisogna vedere quanto quella persona spenderà per te: si può “sforare” di un 20% mediamente, ma non puoi presentarti con un regalo da 50 euro di fronte a qualcuno che per te ne ha spesi dieci volte tanto; il galateo della donazione non lo consentirebbe mai: sarebbe la morte sociale e relazionale.

A me dicono spesso che sono un sognatore, che la mia filosofia è utopistica, che certi cambiamenti non vanno neppure suggeriti perché le persone si impressionano, si preoccupano, si chiudono a riccio, e finiscono per non fare proprio niente, anziché quei passi di bimbo che, con maggiori cautele, li si potrebbe indurre a fare.

Sì, lo ammetto: sono un sognatore. Oggi, che non ho più 5 anni, e ho anche passato da un po’ i 12, non riesco proprio a sentirmi a mio agio con l’idea di aspettare con ansia il giorno di Natale, per aprire i pacchi regalo. Purtroppo non trovo più emozionante strappare quell’incarto, che è costato tanti alberi e tante cure, giusto per essere avvolto attorno a un pacco per fare bella mostra di sé in quei 30 secondi necessari a me per farne un rifiuto. Non trovo emozionante pensare a quanto tutti abbiamo dovuto lavorare per pagare quelle carte, e quei regali. Non mi emoziona neppure il pensiero di quei cumuli di rifiuti fuori dalle porte delle nostre casette che sprigionano calore nei primi giorni d’inverno, bruciando gas che magari – giusto per esempio – è costato qualche guerra.

Piuttosto, mi viene da pensare a qualche articolo che ho letto recentemente, in cui climatologi e scienziati vari si dicono estremamente preoccupati poiché le soluzioni al loro vaglio per ridurre il riscaldamento globale rischiano di essere perfino più dannose e imprevedibili della stessa minaccia che tentano di arginare. Si parla, per esempio, di aerosol diffusi nell’atmosfera per creare una sorta di coltre artificiale simil-eruzione vulcanica, in modo da raffreddare la Terra con una specie di inverno nucleare. Tutto ciò perché non c’è speranza di riuscire a ridurre le emissioni, e il tempo utile perché ciò possa essere fatto scarseggia sempre più: ora si parla di meno di 20 anni. Insomma, la specie umana preferisce 20 anni di “baldoria” alla sopravvivenza della specie stessa, o perlomeno al vivere in un mondo ospitale.

Un altro articolo spiegava che gli Stati Uniti, dopo anni di resistenze, hanno sottoscritto l’impegno a ridurre le emissioni di CO2 del 28% entro il 2030, che – detto in altri termini – significa continuare a inquinare per altri 16 anni poco meno di oggi, e – forse – tra 16 anni continuare a farlo al 72% di oggi.

Certo, di fronte a tutto ciò, è utopistico pensare che le persone, cioè noi, possano cambiare, che si possa tutti come singoli fare rinunce quotidiane, così determinando un sistema diverso e un cambiamento di massa.

Ecco, se proprio dobbiamo avere un mondo diviso tra aridi deserti, dove prima c’erano foreste rigogliose, e paludi di fango e cemento, sarebbe già qualcosa sapere che la causa non sono state le nostre dipendenze, per esempio da una bistecca, dalla frenesia del trasporto automobilistico, o da pacchi e pacchetti tanto colorati quanto effimeri.

Sì, forse la mia idea di un Natale senza lucine per le strade sarà triste e squallida, ma continuo a preferirla a quella di strade future, comunque prive di lucine, ma prive anche della luce del sole, sommerse dall’acqua e affollate di gente che non sa dove andare o come sopravvivere.

Ma, del resto, che importa se anche così dovesse essere? A noi bastano, oggi, le lucine!

Concludo: forse tutti noi dovremmo uscire dalla visione del Natale e della vita di un 12enne che si emoziona per le lucine e i pacchetti e i giocattoli. Forse dovremmo ripensare con le nostre teste a quelle “tradizioni” che abbiamo ereditato, e chiederci quali rituali stiamo perpetuando, quali stereotipi stiamo incarnando, e che senso abbia nasconderli dietro all’ipocrisia del “volersi bene” e dello “stare insieme”: per fare tutto questo non occorre né un giorno del calendario, né una serie di giochini o di liste dei desideri, né tantomeno farsi schiavi del lavoro per potersi permettere tutto ciò.

Il mio sogno, per questo Natale, e per quelli a venire, è di non trovare affatto regali sotto l’albero, e, anzi, di non trovare neppure alcun albero, se non nelle foreste, dove devono stare, mentre quelli che provano per me affetto, e per i quali io ne provo, spero di averli accanto ogni giorno in cui ciò sarà possibile, non soltanto in quelli “di rito”.