Padroni di cosa?

C’è stato un tempo, ormai così remoto che nessuno oggi vivente può ricordarlo, in cui esseri umani erano padroni di altri esseri umani: i primi non erano considerati persone losche, spregevoli, né moralmente riprovevole. Erano semplicemente persone del loro tempo, un tempo che è durato migliaia di anni e che si è riaffacciato soltanto pochi secoli fa.

Tuttora, in diverse regioni del mondo, un essere umano può essere proprietario di un altro essere umano: questo fenomeno è fermamente condannato nel mondo occidentale, ma esiste ancora.

Esiste e resiste in tutto il mondo il fenomeno della proprietà nei confronti degli animali non umani: perfino chi si professa “animalista” definisce se stesso “padrone” di un cane, di un gatto, etc.

Alcuni si oppongono all’estensione del concetto di proprietà sui non umani, ma la stragrande maggioranza delle persone reputa normale lo stato di cose: come i padroni di esseri umani di una volta, nemmeno i padroni di esseri non umani di oggi sono considerati persone losche, spregevoli o moralmente riprovevoli.

C’è, infine, la proprietà delle “cose”, ciò che comunemente reputiamo inanimato e, già in quanto tale, liberamente disponibile.

Ma il concetto stesso di “proprietà” è una creazione astratta della mente umana, una categoria giuridica che è nata con uno scopo, ma che ha travalicato i confini entro i quali avrebbe dovuto essere circoscritta, per radicarsi nella mentalità comune.

Attorno al concetto di proprietà sono stati scritti fiumi di inchiostro, pronunciate quantità indescrivibili di parole, combattute guerre interminabili, ci si è schierati pro o contro di essa. Eppure, se ci si sofferma un attimo soltanto oltre ciò che si dà per scontato, si affaccia un quesito: esiste la proprietà?

All’atto pratico, ciò che il diritto (al pari dell’opinione comune) definisce proprietà è soltanto una locazione a durata indeterminata, la cui fine, cioè, non è prestabilita, ma è comunque certa.

Come potrebbe esistere qualcosa di assoluto ove tutti i soggetti/oggetti coinvolti siano relativi ed effimeri?

Se la distinzione tra proprietà e affitto ha un senso e una rilevanza in ambito giuridico, non può averne nel mondo fenomenico, alla stregua delle leggi della chimica e della fisica, che sanciscono come “tutto si trasforma”.

Ci definiamo “proprietari” di un appezzamento di terreno, ma quel terreno esisteva da prima di noi e continuerà ad esistere anche dopo di noi: non lo abbiamo creato e non potremmo distruggerlo, ma soltanto trasformarlo. Potremmo, per esempio, rendere improduttivo un terreno agricolo, o radere al suolo la foresta che vi si trovava, ma gli effetti di queste azioni non ricadranno soltanto sul “proprietario”: potrebbero, anzi, non ricadere affatto su questi.

Abbiamo usato l’esempio della terra, che è quanto di più duraturo si possa immaginare fra le proprietà umane, sicuramente più estesa di una vita: di questo bene potremmo sentirci arbitri e “padroni” assoluti, ma la verità, evidentemente, è ben diversa.

Siamo tutti semplici, e temporanei, utenti di qualsiasi oggetto “inanimato”, anche di quelli che oggi definiamo “tecnologici” e che rappresentano, pur sempre, la specificazione e l’utilizzo di elementi che appartengono al mondo del quale facciamo parte e che ad esso torneranno, sotto qualsiasi forma.

A questo punto è evidente che la stessa considerazione valga anche per i nostri corpi: si creda o no nell’esistenza dell’anima, è un dato di fatto che ogni atomo che compone un corpo preesisteva ad esso e continuerà ad esistere, semplicemente in forme differenti.

L’illusione che un individuo, un’impresa, un’associazione o una nazione possa realmente compiere atti dispositivi assoluti non si scontra soltanto con la relatività dell’esistenza, ma anche con quella degli effetti: per quanto si possa concettualmente distinguere tra “proprietà” di uno e dell’altro, nessuno schematismo mentale o categorizzazione giuridica può recidere il nesso tra le cose materiali del mondo (o dell’universo). La terra di uno può produrre frutti grazie all’acqua, all’aria e a una moltitudine di altri elementi e forme di vita che nascono e proliferano sulla terra di un altro; allo stesso modo la transitorietà della materia consente ai nostri corpi di formarsi e accrescersi, per essere da noi utilizzati durante la nostra permanenza qui.

Se, poi, è vero che non esiste la proprietà nei confronti di ciò che è (o consideriamo) inanimato, ancor più illusorio sarebbe ravvisarne la sussistenza nei confronti di esseri animati, quali animali umani e non.

Ci si può imporre a qualcuno, si può scegliere al suo posto e perfino disporne, ma tutto questo avviene esclusivamente in base all’arbitrio, che determina la prevalenza della volontà di uno sull’altro.

Chiunque si riproponga di rispettare l’altro (qualunque “altro”) non potrà mai definirsene “padrone” o “proprietario”, ma dovrebbe semmai esserne “amico”, oppure “compagno”, in condizioni di reciprocità e libertà.