Telefonate gratis, messaggi gratis, cellulari gratis, Internet gratis, pasti gratis, bibite gratis, gadget gratis: a giudicare da queste espressioni oggi si direbbe che è tutto gratuito… ma siamo sicuri che sia proprio così?
Quando sento parlare qualcuno che mi dice “ho le chiamate gratis”, o “facendo l’abbonamento ho avuto lo smartphone gratis”, mi torna sempre in mente l’osservazione di Albert Einstein che “in natura nessuno ti offre un pasto gratis”: si tratta di precetto della chimica e della fisica abbastanza banale, afferente ai principi di base della termodinamica.
Be’, l’homo oeconomicus penserà: “Tutto sommato a me poco importa della fisica: l’importante è che i soldi non escano dalle mie tasche!”. Occorre dunque precisare che ci sono due ordini di motivi per i quali possiamo affermare che non esiste nulla gratis:
1) motivo fisico-chimico;
2) motivo economico.
Sì, perché la parola “gratis” evoca subito nel consumatore una scintilla, la rappresentazione di una possibilità rara, qualcosa da non lasciarsi sfuggire: un’occasione unica insomma! Certo, del resto dire che tu pagando un abbonamento noleggi un telefono, pagandolo di fatto più di quanto spenderesti a comprarlo separatamente, non fa un grande effetto sul consumatore: al contrario, persuaderlo che stia pagando esattamente il valore di qualcos’altro, ottenendo “in più” una sorta di regalo, è tutt’altra cosa.
Insomma, non è gratis la bibita nel “menu tutto compreso” o sull’aereo, né i minuti “illimitati” per cui paghiamo un canone, né Internet, né tantomeno lo smartphone che ci regalano assieme al televisore: stiamo semplicemente pagando tutto quanto, mentre il nostro cervello si lascia persuadere che una cosa l’abbiamo pagata e l’altra è un regalo. In conclusione, non esiste impresa commerciale che intenda rinunciare a una parte (seppur minima) di utile per spirito di generosità: i sentimenti sono delle persone fisiche, mentre le persone giuridiche (società) non ne possiedono e sono esclusivamente orientate al profitto.
Il problema è che noi non siamo vittime delle società, dei cosiddetti “grandi marchi”: noi ne siamo complici, poiché gli permettiamo di esistere e di fare ciò che fanno, addirittura adottando le loro definizioni, coniate per depistarci, per illuderci e approfittarsi di noi…. “gratis”.
C’è, poi, un problema ben più profondo, che afferisce alla considerazione di Einstein e che soltanto i più miopi potrebbero considerare estraneo alla sfera economica: la creazione (ma anche il trasporto e lo smaltimento) di qualsiasi cosa presuppone energia, cioè utilizzo di risorse, inquinamento, etc.
Se anche noi non paghiamo qualcosa, e perfino se non rientra nelle strategie di marketing di qualche società, dovremmo essere consapevoli del valore e del costo reale di ciò che ci circonda: il fatto che non stiamo pagando i fogli di carta con i quali ci asciughiamo in un bagno pubblico, o l’energia elettrica che alimenta l’asciugamani ad aria calda, non li rendono comunque gratuiti.
Ogni risorsa che utilizziamo ha un costo ben preciso e ha presupposto un impatto sull’ambiente, quindi su altri animali, umani e non: ciò significa che se non paghiamo noi, qualcun altro ha pagato e sta pagando al posto nostro.
Approfondendo giusto un po’ di più, scopriamo che non è neppure soltanto l’altruismo a doverci rendere interessati alla questione del costo delle cose: per produrre una semplice lattina qualcuno deve aver sottratto ferro e stagno alla Terra, quindi averli lavorati attraverso macchine e sostanze chimiche di sintesi, fino a realizzare un contenitore, colorato mediante altre sostanze sintetiche e poi riempito con qualcosa che ha tutto un altro processo produttivo (sicuramente non è acqua); tutto ciò deve poi essere trasportato e consegnato, prima di pervenire a noi. A valle di tutto questo incredibile procedimento cosa si trova? Un bipede che si considera all’apice dell’evoluzione e che, dopo aver trangugiato le sostanze (per lui dannose) contenute in quella lattina, la getterà in men che non si dica: innumerevoli sforzi ed energie e inquinamento per realizzare un prodotto che in un gesto di pochi secondi esaurisce la sua utilità, trasformandosi in rifiuto!
Verrebbe da chiedersi come mai possa essere economicamente conveniente produrre qualcosa di così complesso per un uso così limitato, e la risposta si ricollega alla miopia di cui parlavamo prima: soltanto un ingenuo può pensare realmente di non pagare (anche con i soldi) qualcosa che qualcuno pretende di fornirgli gratis.
Quell’inquinamento, quell’antieconomicità intrinseca del consumismo, quell’impoverimento di risorse, se non lo paga quello che produce (e che, se lo pagasse, non potrebbe arricchirsi), lo deve pagare qualcun altro: la collettività.
CONCLUSIONI
Non esiste niente che ci venga fornito gratis, ma quando ci sembra che così sia, occorre allarmarsi, poiché è proprio in quel caso che il costo, cioè il danno, sta ricadendo non su uno o due o dieci, bensì su tutti: tanto inferiore è il prezzo, tanto superiore sarà il danno. Del resto, il prezzo inferiore per lo smaltimento dei rifiuti lo fa pagare la malavita organizzata, che li getta nei campi o in mare, i prezzi più bassi dei farmaci sono garantiti dalla sanità pubblica, cioè dalle tasse, così come nessuno ti offrirà un’automobile a prezzo basso come qualcuno che l’ha rubata.
Noi oggi, per convenzione, riteniamo che pochi abbiano il diritto di sfruttare le risorse di tutti, e poi ci sentiamo lusingati quando quelli, come il ladro d’auto, ci praticano uno sconto o ci offrono qualcosa “gratis”: purtroppo, però, il conto più salato di tutti non è quello indicato nella ricevuta, ma quello che non si vede e che non è stato pagato ancora, ma lo sarà… molto a lungo.
Il miglior precetto, mai come in questo caso, è: “Usa ciò di cui hai davvero bisogno“.