Molti di noi vivono immersi nella convinzione che il tempo sia un fatto assoluto e immutabile: affermare o anche soltanto ipotizzare che il presente possa non essere consequenziale al passato o precedente il futuro rappresenta un concetto che non merita neppure un approfondimento.
L’esperienza è tutto, e la nostra ci indica che c’è una freccia del tempo che ha un solo verso possibile, che va dal passato al futuro passando attraverso il presente.
Eppure è un’esperienza fallace in sé, anche se non ce ne accorgiamo: usiamo i concetti di “passato”, “presente” e “futuro” quotidianamente, ma, se ci soffermiamo su di essi, cosa appuriamo? Che il primo non è più, l’ultimo non è ancora, e ciò che li separa è qualcosa di impalpabile, e non soltanto in quanto divisione tra due entità inesistenti, ma anche in quanto continuo mutare in un susseguirsi di attimi senza soluzione di continuità.
Da questo trittico illusorio ricaviamo una focalizzazione selettiva ancor più illusoria: c’è chi vive nel passato, incapace di lasciar andare cose, persone, ricordi; c’è chi vive nel futuro, sempre proteso a fare progetti e destabilizzato dalla possibilità che questo sfugga al suo controllo. Infine c’è chi vive momento per momento, non per consapevolezza, bensì per incapacità di pianificare o per paura di ricordare. Tutti questi approcci sono accomunati dalla mancanza di una dimensione onnicomprensiva, capace di armonizzare e contestualizzare “passato/presente/futuro” in un unico elemento.
L’immersione nel presente dell’individuo consapevole non consiste nella frattura temporale che consente di identificare in esso soltanto l’elemento divisorio tra due enti distinti, bensì nella comprensione del fatto che l’intero fenomeno “tempo” rappresenta l’aspetto esteriore che, nella realtà quadridimensionale, descrive l’istante percettivo fuori dal tempo che caratterizza la realtà reale (cioè non virtuale).
Molti di noi, dicevamo, sono semplicemente refrattari alla possibilità di una dimensione priva di tempo, e dunque rifiutano anche di prendere in considerazione prove o indizi in tal senso. Eppure sia l’astrofisica che altre discipline, ormai da tempo (sic!), hanno iniziato a dimostrare l’illusorietà del… tempo.
Alcuni, anche in occidente, hanno oramai assunto familiarità con il concetto di reincarnazione, e i lavori di Ian Stevenson, Raymond Moody Jr., Brian Weiss, Bruce Goldberg, etc., hanno conferito cittadinanza occidentale a concetti come quello di “karma”, che erano stati tipici ed esclusivi delle culture (almeno di alcune) orientali.
Appurare i meccanismi di nascita, morte e rinascita consente di guardare con una prospettiva differente fenomeni, come quello del tempo, che nel quotidiano si danno per scontati, ma se da una parte non esaurisce la conoscenza dell’argomento, dall’altra parte rischia di ingenerare ancor più confusione.
La prima circostanza che accomuna chi si accosta allo studio della reincarnazione è la consapevolezza che si possano rivivere le vite passate: questa informazione, che può sembrare una vera e propria illuminazione rispetto al pensiero materialista o religioso occidentale, rappresenta in realtà un dato parziale, che altro non è se non la punta di un iceberg. Soffermarsi soltanto su questo aspetto significherebbe trascurare la conoscenza sommersa, che è la maggior parte.
Spesso quando informo qualcuno della possibilità di ricordare le vite future compare un’espressione di stupore sul volto, cui fa seguito la classica domanda: “Come è possibile?”. Il quesito, nella sua versione integrale, suona pressappoco così: “Come è possibile ricordare qualcosa che non è ancora accaduto?”. Qui emerge la superficialità della consapevolezza conseguita alla conoscenza del fenomeno della reincarnazione in generale e del ricordo delle vite passate in particolare.
Le vite passate non esistono. Neanche quelle future, se è per questo.
Tecnicamente una persona sottoposta a ipnosi regressiva non “ricorda” alcunchè, ma è semmai la sua consapevolezza a spostarsi, qua e là, focalizzandosi su luoghi e tempi, così come su non-luogo e non-tempo.
Dal punto di vista strettamente umano/terreno esiste un fenomeno denominato “ciclo karmico”, che contempla una sorta di ascesi progressiva dalle vite passate alle vite future. Ma il tempo esiste solo nel mondo virtuale/fisico: l’anima è atemporale e aspaziale, dunque non avrebbe senso affermare che essa compia un percorso temporale, semplicemente poiché è svincolata dal tempo.
Tutto ciò che nella dimensione fisica appare diacronico, è sincronico nella dimensione reale: le cosiddette vite “passate, presenti e future” per l’anima si trovano sul medesimo piano e non possono essere concepite separatamente.
In conclusione, possiamo emanciparci dall’illusione del tempo a vari livelli, ma la comprensione ultima della natura del fenomeno presuppone il superamento di tutte le prospettive relative e limitate e l’inquadramento all’interno di un sistema che, per definizione, dovrà trascendere lo spazio e il tempo.