Al di là delle posizioni individuali e delle ragioni che le determinano, con questo articolo si cercherà di approfondire l’aspetto etico sotteso alle decisioni in ambito vaccinale che hanno condotto all’emanazione della Legge 119/17 e al conseguente obbligo di inoculazione di 10 vaccini nei minori di età compresa tra 0 e 16 anni.
Molti “uomini della strada” e perfino tanti scienziati considerano l’etica come una faccenda troppo virtuale per essere adoperata nelle questioni che attengono alle cure (o presunte tali) di patologie, ma se realmente l’etica fosse tenuta fuori dalle scelte in ambito biomedico, si vede bene che qualsiasi azione sarebbe lecita. Anche laddove non sembra esserci spazio per l’etica, in realtà uno spazio a monte c’è già stato. Un esempio che adopero spesso è il seguente: ciascuno di noi potrebbe trovarsi nella condizione di necessità di un trapianto di organi. Eppure a nessuno di noi verrebbe in mente di avere il diritto di espiantare coattivamente tali organi a qualcun altro. Perché no? Per questioni etiche, ovviamente. A partire da una simile considerazione, assai istintiva, cercheremo di sviluppare il discorso sull’etica fino alle estreme conseguenze, che, invece, potranno apparire paradossali, pur essendo perfettamente coerenti con le premesse di cui sopra, largamente condivise.
NECESSITA’ – PERCHE’ NON POSSO PRENDERE DA UN ALTRO GLI ORGANI PER IL MIO TRAPIANTO?
Cerchiamo di codificare in principi etici quel comportamento istintivo appena descritto, partendo dalla premessa: io sono malato e il trapianto d’organi mi salverebbe la vita. Sussiste una condizione di necessità, e la necessità scaturisce dalla non surrogabilità del rimedio: o trapianto o morte.
Appurato che io verso in uno stato di necessità, passiamo al quesito seguente: cosa legittima tale mia condizione di necessità? Qui diritto e morale si scindono. Il diritto risponderebbe: la violazione di diritti altrui di rango inferiore a quello in gioco (vita, salute). Cioè, hai il diritto di non rispettare il codice della strada o la proprietà privata per salvarti la vita, ma non hai il diritto di espiantare coattivamente un organo ad altri. E l’etica? Be’, in questo caso la faccenda si complica, poiché bisognerebbe prima determinare quale teoria etica perseguire, per poi stabilire le azioni consentite e quelle censurate. In generale il principio etico più diffuso qui applicabile è sintetizzato nel concetto che il diritto di uno finisce dove inizia quello altrui. Cioè, uno non ha il diritto di invadere i diritti di altri. Ma a questo punto si vede subito un altro limite sotteso alla molteplicità di valori morali: chi o cosa è “l’altro” da rispettare? Finchè si tratta di esseri umani adulti in salute siamo tutti d’accordo, ma già quando si inizia a discutere di feti, persone in coma irreversibile mantenute artificialmente in vita, oppure di animali, tutto cambia: c’è chi sostiene che nei confronti loro (o di categorie differenti) tutto possa essere lecito, e di fatto l’uso e l’uccisione di animali non umani a tal scopo viene considerato lecito e da molti perfino lodevole.
Insomma, se non ci sentiamo legittimati a espiantare coattivamente un organo dal nostro vicino di casa umano, ma riteniamo giusto usare un maiale per far crescere un organo umano da trapiantare (uccidendo ovviamente il maiale), in realtà stiamo usando una “non etica”: per salvare la nostra vita ne sacrifichiamo un’altra. La decisione di farlo è arbitraria, tanto quanto il giudizio di valore che la determina: “uomo > maiale”. Il maiale, certo, non la vedrebbe così. Ma, probabilmente, non la vedrebbe nemmeno all’opposto: si limiterebbe a cercare di svolgere la propria vita senza “barare”, cioè accettando le condizioni impostegli dalla sorte adattandovisi per quanto possibile e soccombendo allorchè impossibile. Semplicemente poiché in natura nessuno si aspetta che la propria salvezza possa scaturire dal sacrificio altrui. Il leone mangia la gazzella se riesce a prenderla, altrimenti soccombe. Non cita la gazzella in tribunale per non essersi fatta divorare, né cita gli altri leoni pretendendo che siano loro a cacciarla per lui. Il che ci porta al secondo argomento, dopo la necessità: il beneficio.
UTILITA’ – IL PARADOSSO INVISIBILE
Uno dei primi argomenti a favore dei vaccini riguarda la salvezza dell’umanità che questi avrebbero determinato o determinerebbero. Questo è un argomento che, a livello scientifico, risulta perlomeno controverso. C’è chi sostiene che le condizioni di vita e in particolare di igiene abbiano determinato l’abbattimento sostanziale delle cause di mortalità (specie infantile). C’è chi sostiene che ciò dipenda in buona parte anche dai vaccini. C’è chi taccia i vaccini di esporre ancor più alle patologie, e chi afferma che ne provochino altre, etc. Non è intenzione di questo articolo dirimere questioni di natura scientifica, che peraltro appaiono spesso trattate in modo strumentale o ideologico, e quindi difficilmente ancorabili a basi esclusivamente scientifiche. Piuttosto, ciò che ci interessa è il concetto più a monte: il beneficio sotteso alla possibilità che i vaccini abbattano il tasso di mortalità.
Tutte le principali minacce alla sopravvivenza della specie umana sono, direttamente o indirettamente, riconducibili a una unica ragione: il sovraffollamento. Sia come individui che come consumatori, siamo tutti consapevoli di essere “troppi”. L’inquinamento ambientale e le sue ricadute sull’alimentazione rappresentano la prima causa di mortalità. Ma se ciò non bastasse, si combattono guerre per accedere a risorse sempre più limitate, o per espandere confini di nazioni sempre più affollate. Questo non accade da pochi anni, ma dagli albori della storia umana. La domanda di risorse di un numero altissimo e costantemente crescente di individui ha provocato e sta provocando i principali episodi distruttivi del Pianeta: Chernobyl, Fukushima, gli sversamenti di petrolio ovunque nel mondo, il cambiamento climatico e ciò che ne deriva.
Ecco, dunque, il paradosso: per salvarci ci stiamo… uccidendo. Abbiamo sottratto alla natura il “potere” di decidere chi deve morire o vivere, e quanto a lungo, soltanto per affidarci a un padrone assai più capriccioso e scellerato: l’uomo. Se, infatti, il leone che non può catturare la gazzella soccombe, nella sua morte c’è la garanzia di sopravvivenza di tutti gli altri, e del loro benessere. Ma c’è ancora di più: c’è la speranza di sopravvivenza di tutta una specie. Di tutto un mondo.
Abbattere il tasso di mortalità di una specie rappresenta probabilmente il metodo più rapido e migliore per avviarla all’estinzione.
Tornando, dunque, ai vaccini: se fosse vero che questi abbattono i tassi di mortalità umana, allora dovremmo concludere che sono assai pericolosi per la sopravvivenza dell’intera specie.
LIBERTA’ O SALUTE?
Un’altra annosa questione attorno alle vaccinazioni obbligatorie per legge è: deve prevalere la libertà del singolo o l’interesse della comunità? In realtà abbiamo già risposto a monte, dimostrando come l’interesse prevalente della comunità dovrebbe essere quello di perpetuare la specie, e dunque di non avallare pratiche che, alterando in modo artificiale il rapporto tra risorse e individui, segnino la strada verso l’estinzione o altri eventi di scala planetaria. Insomma, delle due l’una: o i vaccini non hanno una portata globale nell’alterazione dei tassi di mortalità, e allora sono inconferenti, oppure ce l’hanno, e quindi minacciano la sopravvivenza della specie e dell’habitat. Non esiste uno scenario attuale in cui tali pratiche rappresentino un bene collettivo: ciò avrebbe potuto essere esclusivamente in un caso di società così sottopopolate da essere a rischio di estinzione per la morte di tutti i loro membri. Situazione evidentemente inimmaginabile per qualsiasi comunità umana. Eccetto per quelle che vivono allo stato brado. E che il consumo di risorse e l’inquinamento causati da tutte le altre società umane sta portando a estinguersi; il che obbliga altresì a rilevare come la qualificazione di “bene collettivo” sia del tutto relativa.
Ma, perfino sorvolando sulle questioni che abbiamo sopra affrontato, e perfino volendo immaginare che l’esistenza di malattie o della morte non rappresenti – come in effetti è – lo strumento naturale di regolazione di specie e ambiente, e volendosi soffermare sui singoli esponenti della collettività potenzialmente esposti alle malattie che i vaccini dovrebbero prevenire o preverrebbero, come rapportare questi interessi con quello alla libertà individuale?
Da un lato la rivendicazione: “devi curarti per non contagiarmi”. Dall’altro la precisazione: “se ti vaccini non dovresti ammalarti”. La questione etica, in realtà, parrebbe superata prima ancora di porsi: gli individui interessati a vaccinarsi, e confidenti che ciò li protegga dai contagi non avrebbero motivo di preoccuparsi di tutti gli altri. Se, viceversa, non ritenessero i vaccini utili, non avrebbero motivo di chiederne l’applicazione. Insomma, in nessun caso si verifica una circostanza atta a legittimare l’imposizione di una pratica simile su soggetti diversi da se stessi.
Si potrebbe discutere, su scala sociale, se effettivamente vi sia un interesse generale a eradicare le malattie, rendendo impossibile ammalarsi perfino a chi sia disposto ad ammalarsi. Un argomento in tal senso è di natura economica: si è provato a sostenere che costerebbe di più curare una malattia anziché prevenirla mediante vaccinazione. È facile rilevare che simili considerazioni spostano il centro dell’attenzione dall’etica all’economia. Ma, una volta compiuto questo “salto”, sarebbe agevole compierne anche ulteriori: per esempio, se l’etica deve cedere il passo all’economia, allora si può desumere che la condotta più economica consista nel non somministrare né vaccini né cure mediche.
Solo e soltanto nel caso in cui vi fosse un dimostrato interesse medico dell’intera comunità a che i suoi individui pratichino la vaccinazione, allora si potrebbe discutere, comparativamente, di libertà e diritto alla salute collettiva. In questo caso si scontrerebbero le differenti prospettive etiche: viene prima l’individuo o la comunità? Come sciogliere l’enigma? A parere di chi scrive la soluzione è assai elementare: la collettività dovrebbe avere il fine di migliorare le condizioni degli individui, e pertanto nell’ambito della disposizione di sé e del proprio corpo/movimento, potrebbe prescrivere soltanto limiti a condotte di tipo commissivo (“astieniti dal commettere omicidio, astieniti dal calpestare il suolo altrui”) e non di tipo omissivo (“cammina in quel punto”, che al contrario risulterebbe “astieniti dal non camminare in quel punto”).
A entrare nel merito della questione economica, ma soltanto con strumenti logici, poi, si potrebbe rilevare a priori l’antieconomicità di qualsiasi intervento che riguardi la totalità dei consociati (tutti i minori tra 0 e 16 anni), anziché quella marginale percentuale che sarebbe in concreto colpita dalla malattia, e, all’interno di essa, quella ancora minore percentuale che utilizzerebbe cure mediche o cure mediche pubbliche.
RISCHI-BENEFICI
Uno degli argomenti più utilizzati per opporsi all’uso dei vaccini, o al loro obbligo è quello della pericolosità, degli effetti collaterali e dei danni che possono cagionare. La questione, scientifica-statistica, è naturalmente assai controversa, e anche in questo caso non sarà oggetto di trattazione se non sotto il profilo etico. Ciò è possibile anche riportandosi al minimo comune denominatore tra le opposte fazioni: le reazioni avverse note, accertate e conclamate anche dai produttori. Qui la diatriba riguarda, semmai, la loro estensione e portata: quanti casi concreti? Quanto gravi? Da un punto di vista etico la questione è irrilevante. Esistono, e pertanto costringono a confrontarsi, a livello etico, con la possibilità che si verifichino, anche perché statisticamente si verificheranno.
Da un lato abbiamo la malattia: naturale, eventuale. Dall’altro abbiamo il vaccino: artificiale, certo.
Immaginiamo che ci sia un temporale, e di decidere di uscire di casa ed essere colpiti da un fulmine: con chi potremmo prendercela? Forse con Dio, o con il destino, o con il karma, o con noi stessi (“se solo non fossi uscito di casa durante il temporale!”). Certo con nessun altro. Sarebbe stato un cosiddetto “caso”. Una delle variabili del vivere, che implica anche la possibilità di… morire. Immaginiamo, poi, che qualcuno, temendo che possiamo essere colpiti da un fulmine mentre siamo in casa, entri, ci porti a forza fuori, e, una volta lì, siamo colpiti da un fulmine: ce la prenderemmo con noi stessi, con Dio, il destino, il karma… o con quell’estraneo che ci ha portati forzatamente fuori? Di certo con quest’ultimo, poiché egli, intervenendo con un’azione commissiva nella nostra vita ha determinato l’evento da cui è scaturito il danno, ed altresì poiché nessuno avrebbe preteso che questi si frapponesse tra noi e il fulmine, ma per chiunque sarebbe stato lecito pretendere che non gli avesse causato danno.
Inquadrando in una dimensione collettiva quanto sopra, si può ben affermare che pur ravvisando in capo allo Stato una funzione protettiva dei singoli, non si può estendere la portata di tale funzione fino al punto di ravvisarvi un dovere di porre in essere condotte che provocheranno matematicamente alcuni danni, neppure a fronte della salvezza di n individui. Questo poiché il principio opposto aprirebbe le porte a qualsiasi sacrificio, in modo non dissimile da quello – arbitrario – con cui un sovrano antico poteva disporre di vita e morte dei propri sudditi. In questo caso, peraltro, gli interessi in gioco sarebbero i medesimi: salute vs. salute, vita vs. vita. Come, dunque, infliggere malattia e morte, per prevenire altrettanto? Ecco, di nuovo, l’eticamente inammissibile surroga dello Stato a Dio, alla natura, al destino, al karma, al caso o a qualsiasi altra entità si voglia porre (o non porre) a monte degli eventi.
Parimenti, sottrarre ai genitori il diritto di lasciare i propri figli esposti alle possibilità loro concesse da quegli altri enti, per attribuire invece tale potere discrezionale allo Stato, non può trovare giustificazione: non si tratta, infatti, di sottrarre a condotte attive lesive, bensì di praticarne, sottraendo semmai a condotte passive neutre (cioè di per sé non atte a incidere né positivamente né negativamente su alcun interesse del minore). Così facendo, lo Stato si attribuirebbe il diritto di porre in essere condotte commissive potenzialmente dannose o benefiche (a seconda di punti di vista o statistiche), rimuovendo la precedente condizione di neutralità, e dunque assumendosi la responsabilità che da ciò deriva.
CONCLUSIONI
La questione dell’obbligo vaccinale rappresenta un falso problema etico. Perlomeno nei termini in cui è affrontata nel dibattito sociale contemporaneo, che parte da premesse già di per sé erronee o travisate, assumendo come certezze fatti che risultano opposti al vero, in primis la possibilità stessa che l’abbattimento della mortalità, in quanto preludio all’estinzione, possa rappresentare un bene collettivo.
Anche le principali argomentazioni a fondamento dei dibattiti poggiano su false premesse, quali interessi collettivi a non ammalarsi, da cui scaturirebbe il diritto/dovere dello Stato di scavalcare la libertà individuale di scegliere: i vaccinati non sarebbero posti a rischio dai non vaccinati.
A corollario di tutto ciò, le teorie di convenienza economica, che però non avendo a che fare con l’etica non potrebbero essere prese in considerazione quali motivi giustificativi la limitazione di libertà individuali o l’imposizione di trattamenti obbligatori. E, in ogni caso, anche con riferimento alle questioni meramente economiche, la logica e l’esborso di alcune centinaia di milioni di Euro pubblici per l’acquisto di vaccini dimostrano che soltanto nel caso di vaccinazione la spesa si verifica certamente e in misura superiore.