Ti alzi al mattino per andare a fare un lavoro che non ti piace, ma le leggi, la televisione, i politici, ti dicono che chi non lavora è un fannullone, un peso per la società, che non produce e non aiuta l’economia. E, così, ti incammini verso il luogo in cui timbrerai il tuo cartellino, facendo la fila tra le auto o sui mezzi pubblici, sperando che non siano in ritardo o non scioperino. Così, se va bene, trascorrerai almeno 40 anni della tua vita. Con i soldi che guadagni, ti senti libero. Perché ti dicono che sei libero. Libero di comprare cose, ma non di non desiderarle. Il desiderio spontaneo nascerebbe per il cibo, per l’acqua, per i rapporti umani e sociali, per la scoperta del mondo e di te stesso. Ma sono cose che potresti procurarti da solo, senza dover chiedere o pagare nessuno. Questo, però, non funzionerebbe: nessuno potrebbe controllarti, e dirti cosa fare per ottenere ciò di cui hai bisogno. Quindi, ciò che soddisfa i tuoi bisogni reali deve essere concesso solo a pagamento, mentre tutto il resto può essere creato ad arte. Così aumentano i bisogni, la spesa per soddisfarli, e il bisogno di lavorare per poterseli permettere. L’importante è convincerti che questo sia l’unico modo, e comunque quello giusto, in cui vivere. Per esempio, non si può parlare di società, come i nativi americani, che non conoscevano la proprietà privata delle risorse naturali, e ciascuno vi poteva ricorrere al pari di tutti gli altri uomini e animali.
Ma, affinchè chi comanda possa continuare a farlo, è opportuno che chi è comandato sia diviso e contrapposto. Gli antichi romani avevano coniato un motto semplicissimo per esporre la regola fondamentale del governo: divide et impera. Dividi e comanda.
Non si tratta, dunque, di una scoperta recente, né tantomeno oscura. Perfino nella Genesi biblica si legge del preoccupato Yahweh, che, essendosi accorto del potere dei popoli umani uniti, prende atto che non c’è nulla che essi non possano raggiungere, e, quindi, attraverso l’introduzione di lingue differenti, crea divisione.
Se i governati combattono tra loro, allora non combatterano contro chi li governa.
A giudicare dalle informazioni che gli organi di informazione divulgano, vivremmo in società sempre più protese al rispetto e all’amore, alla tolleranza e alla condivisione.
Ma la naturale propensione delle persone a volersi sentire nel giusto viene assecondata con facili lusinghe attraverso l’inganno dell’odio travestito da amore o rispetto.
Politici che spacciano sé stessi alle folle, ma che sono controllati dal potere economico. Multinazionali e istituti di credito che muovono l’economia e la politica, con l’unico fine del profitto. Organi di informazione schiavi di economia e politica, tra censura, nomine governative e inserzionisti commerciali.
Pubblicità ubique: nel telefono, alla televisione, via mail, internet, nei video, alla radio, per strada, sui palazzi. Ovunque andiamo, siamo circondati di solleciti a volere e ad acquistare qualcosa.
Ma, appena qualche generale di questo esercito del condizionamento mostra premura verso qualcuno o qualcosa, fingendo disinteresse e reale preoccupazione… non esitiamo un istante a credergli.
Così, se le stesse industrie che avvelenano il globo, si autodichiarano “green”, noi le foraggiamo. Se i politici che con i soldi pubblici aiutano quelle industrie ad avvelenare il mondo si dichiarano preoccupati per la salute pubblica, noi gli crediamo. Se quella stessa classe politica che trascorre tutti i giorni a ridicolizzare e stigmatizzare chi la pensa diversamente con frasette ed epiteti da bar sui social network dichiara di voler contrastare le discriminazioni, noi ci crediamo.
Ma come avviene, esattamente, questa “lotta contro l’odio”? Fomentando l’odio! È il trionfo del paradosso.
Ti dicono che devi odiare chi odia. O, per meglio dire, chi ti dicono che odia.
È un po’ il principio della “reverse discrimination”, tanto caro agli USA da alcuni decenni a questa parte. Prima si discriminava una categoria, ora si deve discriminare l’altra. Così si sistemeranno le cose. Ma questo non sistema niente: alimenta soltanto la segregazione, il concetto di discriminazione, e fomenta le tensioni sociali.
L’immigrazione è un problema? Basta offrire alla gente qualcuno che fomenta l’odio contro chi migra, e qualcun altro che fomenta l’odio contro chi odia chi migra.
Occorre una scusa per obbligare i cittadini a vaccinarsi o a pagare una multa per non farlo? Si alimenta la paura delle epidemie, e si crea l’odio contro chi non vaccina, accusandolo di mettere a repentaglio la sopravvivenza degli altri (meglio se bambini, in quanto considerati unanimamente più indifesi). A questo punto nessuno si chiederà come mai un governo che si disinteressa totalmente di 80.000 morti l’anno per inquinamento o di 10.000 morti l’anno per infezioni antibiotico-resistenti o per 8.000 morti l’anno per infezioni contratte negli ospedali pubblici faccia qualsiasi cosa per introdurre un obbligo vaccinale contro malattie che non provocano nemmeno un morto.
Ogni diversità può divenire la scusa per istigare all’odio. E, quando il sentimento collettivo cambia, si cambia il soggetto da odiare. 50 anni fa si odiavano gli omosessuali? Ora si odia chi odia gli omosessuali. 50 anni fa si odiavano i neri? Ora si odia chi odia i neri. Soltanto che, anche laddove l’odio non sussiste affatto, occorre crearlo ad arte, prima di poterlo perseguire. È il caso della discriminazione di genere: benchè, in stati di impostazione patriarcale, le donne siano giocoforza in condizioni svantaggiate, in occidente la discriminazione di genere è andata costantemente attenuandosi. Del resto, la vessazione nei confronti del genere femminile non è differente da quella praticata nei confronti di qualsiasi altro soggetto dotato di potere inferiore rispetto a chi detiene il potere e fa le leggi: animali, schiavi, poveri, gente che non ha studiato. Non esiste alcun “odio”. Esiste soltanto l’egoismo di chi governa, che, rappresentandosi (e rappresentandoci) una società compartimentata e frastagliata, alimenta quelle stesse contrapposizioni che dichiara di voler contrastare.
Basterebbe adoperare la logica: se fossimo in una società consapevole ed evoluta, non avremmo politici corrotti che si azzuffano telematicamente, che fanno promesse strumentali per farsi eleggere e che si piegano al potere economico calpestando le libertà e il rispetto. Ma, quando qualcuno che governa in questo modo parla di rispetto, non può che farlo in modo strumentale: per dividere e comandare.
Non esiste alcun individuo consapevole che possa ricorrere a censura e stigmatizzazione come strumenti di pacificazione sociale: chi ci dice di odiare gli odiatori è soltanto un burattinaio, che muove facilmente le nostre corde più sensibili, offrendoci la consolatoria illusione di essere brave persone che, a fine giornata, possono guardarsi serene allo specchio. Dopo aver timbrato i loro cartellini, fatto le loro file, covato segretamente fastidio, rancore, disagio e alienazione, e dopo aver rimbalzato su qualche social network il luogo comune spacciato quel giorno, dopo aver messo la bandierina di solidarietà verso il paese colpito dal terrorista di turno, dopo aver donato con un sms il centesimo di rito per ricostruire la città devastata dal terremoto, e, magari, dopo essersi messi nel piatto un pezzo di vita innocente strappata al mondo in cui era stata introdotta solo per poter alimentare il giro che, dall’economia e dalla politica, arriva nelle pance delle persone, senza passare per la testa.