Nella ricerca del significato di “bene e male” si sono dibattuti pensatori, governanti, umili cittadini, gloriosi condottieri, amanti, nemici, scrittori, autori cinematografici e ogni sorta di essere raziocinante (con il che forse si dovrebbe intendere esclusa la categoria dei politici, e non senza una venatura di sarcasmo si potrebbe osservare che in effetti difficilmente si è visto uno di questi anteporre tale ricerca a quella dell’affermazione personale).
L’Eusebismo, nell’impegno di sintesi e semplificazione che lo contraddistingue, si avvale di cinque principi fondamentali, che rappresentano i cardini della morale, cioè gli strumenti da adoperare per determinare cosa sia bene e cosa sia male: sebbene ciascuno di essi abbia goda di una certa autonomia concettuale, è comunque soltanto la loro applicazione congiunta a garantire la validità del risultato.
In questo articolo descriverò il terzo principio, cioè la “non interferenza”.
SIGNIFICATO
La prima questione da affrontare è il significato dell’espressione: cosa significa “interferire”? Letteralmente si verifica interferenza allorchè c’è una sovrapposizione di competenze: così può essere tra genitori e figli, tra governanti e governati, o anche tra pari.
Occorre a questo punto accertare quale sia la fonte della competenza: ciò è più facile nei rapporti istituzionali, o codificati dal diritto: la legge può attribuire a un’autorità centrale (Stato) alcuni poteri, e demandarne altri all’autorità locale (Comune), e in questo caso determinare se vi sia o meno interferenza significa semplicemente esaminare il dettame normativo. Più complicato può essere l’altro caso menzionato: quali sono le competenze del genitore nelle scelte del figlio? Quando si verifica una interferenza?
È evidente che in una moltitudine di circostanze non si può tracciare una linea di demarcazione assoluta delle competenze, atta a discriminare “cosa spetti a chi”: nei rapporti interpersonali, siano essi di coppia, o di parentela, o di gruppo, si verificano costantemente situazioni in cui non esiste un’aspettativa “privilegiata” attorno a chi “possa” o “non possa” fare qualcosa. Se, per esempio, tre persone legate da vincolo d’amicizia dovessero scegliere quale film guardare al cinema, non sarebbe possibile affermare che uno o l’altro godano del potere (o diritto, o aspettativa legittima) di decidere e gli altri no, eppure è evidente che, avendo potenzialmente tre idee differenti ma potendone essere accolta una soltanto, si verificherà una interferenza.
In altri termini, se Marco, Luca e Giovanni decidessero di andare al cinema, proponendo rispettivamente di vedere i film x, y e z, e alla fine si recassero alla proiezione di z, la determinazione che Marco e Luca avrebbero perseguito autonomamente non si verificherebbe, quindi saremmo in presenza di un’interferenza di fatto. Qualunque scelta condivisa è frutto di un meccanismo di interferenza. Ma non necessariamente di interferenza indebita.
Ciò che rileva sotto il profilo della morale non è, evidentemente, il fatto che le sfere decisionali si intersechino, bensì che ciò si possa considerare indebito, per esempio allorchè si valica il confine tra influenzare e imporre: nel caso dei tre amici non si è verificato alcun indebito, poiché nessuno ha imposto la propria volontà, ma la decisione finale si è basata sull’armonizzazione.
Pur con tutti i distinguo del caso, la questione dell’interferenza tra soggetti di pari livello sembra dunque agevole da dirimere: certo lo è, se confrontata con il caso dell’interazione tra soggetti di livelli differenti. Se, per esempio, prendessimo due soggetti, definendo uno con una attribuzione, cioè “padrone”, e l’altro con la specie “cane”, avremmo già sottinteso una interferenza indebita, ravvisando in capo a un soggetto tutto il potere decisionale, e privandone a priori l’altro.
SOGGETTI ED OGGETTI
A questo punto emerge la seconda questione fondamentale: chi o cosa può essere interferito? Probabilmente la risposta dell’Eusebismo è assai differente da quelle di altre filosofie, a partire dal fatto che né la qualifica di “vivente”, né quella di “senziente” assumono rilevanza esclusiva o discriminatoria: possono, naturalmente, avere valore funzionale.
Un essere umano che sradica un albero o stacca un filo d’erba sta commettendo un’interferenza? In caso positivo, si tratterebbe di un’interferenza indebita?
Che vi sia interferenza è un dato di fatto, poiché l’incontro di volontà non può esserci, o, perlomeno, non ci sarebbe possibile interpretare la volontà dell’albero. Possiamo però osservare quale sia la natura dell’albero, o del filo d’erba, e concludere che, rispetto alla loro condizione spontanea, il nostro intervento avrebbe determinato una modificazione, e che detta modificazione non sarebbe frutto della loro volontà (inesprimibile, o a noi non intellegibile), bensì esclusivamente della nostra.
Senza sconfinare nel regno della metafisica, possiamo senz’altro concludere che non siamo in grado di determinare alcuna volontà in capo a quelli che definiamo “oggetti inanimati”, ma poiché anch’essi sono contraddistinti da una condizione “naturale” e da un ciclo spontaneo, ritengo che qualsiasi atto che interferisca con esso sia da considerare quale interferenza indebita.
INTERFERENZA E LIBERTA’
Più o meno tutti concordano, in vario modo, che la libertà sia un valore, oltrechè una delle principali aspettative di qualsiasi animale (umano e non), tanto da considerare la reclusione (quindi la privazione della libertà) come la forma di punizione per eccellenza.
Ispirandosi a Kant si potrebbe concludere che l’unica interferenza moralmente rilevante sia quella che ha per fine o effetto la limitazione o l’interdizione dell’altrui libertà: in questo caso sarebbe semplice identificare il bene morale con la libertà e il male con la sua privazione.
Ritengo che il principio di non interferenza sia concettualmente più ampio di quello di rispetto della libertà, innanzi tutto in quanto, come sopra dimostrato, idoneo a trovare applicazione anche al di fuori di quelli che le principali correnti di pensiero considerano “soggetti di diritto” o “agenti morali”. Inoltre, nell’accezione sopra descritta, è evidente che si possa parlare di interferenza indebita anche allorchè non vi sia alcuna manifestazione di volontà, oppure essa non sia conosciuta o conoscibile: detto in altri termini, è possibile rispettare la libertà di chi è capace di manifestarla, ma se è vero che siamo in grado di interpretare la volontà di un nostro simile, ciò non avviene con chi ci somiglia meno o non ci somiglia affatto (individui affetti da disabilità, infanti, animali non umani, vegetali, oggetti inanimati, etc.).
Peraltro c’è una sfumatura ancora più sottile da esaminare: la libertà è un fenomeno che, a sua volta, è soggetto a numerose e differenti interpretazioni. Per esempio, quanto è libero chi è affetto da una dipendenza? Oppure, quanto è libero chi non dispone di informazioni esatte o veritiere circa le implicazioni delle sue scelte? Basandosi esclusivamente sul valore della libertà si potrebbe concludere che, non essendo libero uno dei soggetti di cui sopra, sarebbe lecito imporgli l’altrui volontà, magari considerata a sua volta “libera”, in quanto non affetta da dipendenze o da lacune.
Nella prospettiva eusebista il bene si identifica nella consapevolezza, e questa, a sua volta, si fonda sull’esperienza: “sollevare” qualcuno dal fardello che fare esperienza spesso comporta non rappresenta dunque un bene reale, ma soltanto apparente. Il bene reale consiste nel consentire a ciascun ente di perseguire ciò verso cui la volontà o la natura l’hanno predisposto (salvo che ciò determini, appunto, l’interferenza indebita con altro da sé).
CONCLUSIONI E RICADUTE PRATICHE
Nel quotidiano, specie in una società tecnologica e informatizzata, non si può neppure sperare di esistere senza subire o realizzare interferenze, e quindi la mia proposta è quella di adottare un principio che ho definito di “mini-interferenza”, cioè mirare alla minimizzazione delle interferenze, sia per numero che per intensità. In altri termini, se è vero che non si può sperare (ma dovremmo?) di eliminare le interferenze, si può senz’altro improntarle a un criterio consapevole, atto a prevenire le condotte moralmente più riprovevoli.
Dovremmo in primo luogo distinguere ciò che ci è necessario da ciò che è velleitario, o addirittura dannoso, e quindi valutare a priori se ci sia giustificazione nel determinare una interferenza, oppure se ciò sia semplicemente frutto di egoismo o di indifferenza rispetto alla altrui determinazione o predisposizione naturale.
Dal punto di vista passivo, possiamo senza dubbio rivendicare la pretesa di non subire interferenze rispetto alle nostre decisioni che non sono indebite negli altrui confronti.
Questi criteri sono universali, e pertanto possono (devono) trovare applicazione tanto nella politica, quanto in un rapporto di coppia, e così nel rapportarsi all’ambiente, come agli animali non umani: ogniqualvolta intendiamo snaturare “qualcosa” o “qualcuno” dovremmo essere consapevoli che stiamo sbagliando.