La storia ci ha abituati a un tipo di dittatura, che potremmo definire “dittatura 1.0”, ormai obsoleta almeno nel mondo occidentale.
La dittatura 1.0 si è sempre manifestata in modalità alquanto standardizzate e facilmente riconoscibili: tipicamente un individuo o un governo assumevano il controllo rigido della società attraverso leggi, provvedimenti e azioni volti a inibire, limitare o interdire completamente alcune condotte o la manifestazione di alcuni pensieri. In generale il tratto comune più facilmente riscontrabile riguardava il divieto di esprimere pensieri contrari alla dittatura stessa e/o ai governanti.
Insomma, nella dittatura 1.0 era ammessa una sola voce. Un solo pensiero. Quelli dell’ordine precostituito. La libera manifestazione del pensiero rappresentava un limite all’affermazione della dottrina unica, in quanto passibile di minare il dogma su cui essa poggiava, e, in primis, la natura superiore e sovraordinata dei governanti: non si può mettere in discussione l’autorità suprema, poiché il mantenimento del controllo dittatoriale è possibile attraverso l’uso dell’autorità stessa, e quindi dubitare di essa o della sua legittimità avrebbe significato demolire le fondamenta dell’ordinamento.
Una dittatura 1.0 è facile da riconoscere, poiché non ammette contrasti né idee differenti, ma soltanto obbedienza: è un procedimento eteroindotto, attraverso il quale ogni individuo e la società in generale vengono costretti apertamente a conformarsi alle regole imposte dall’esterno, sotto pena di gravi sanzioni e/o persecuzioni.
Il XX secolo ha rappresentato l’apice delle dittature “tradizionali”, ma, almeno nelle società occidentali, e giusto in concomitanza con il loro apogeo, ne ha anche segnato la fine: si è pervenuti al punto di rottura, allorchè i cittadini, esausti di fronte all’imposizione di divieti e limiti o ideologie non condivise, hanno deciso di ribellarsi e rivendicare in modo definitivo alcuni diritti “inalienabili”. È stato il completamento di un processo che aveva manifestato i primi sintomi con la Magna Carta, per poi esplodere con l’illuminismo, proseguendo negli Stati Uniti con la Dichiarazione di Indipendenza e con il Bill of Rights, e con la progressiva affermazione degli stati democratici.
Si può affermare che, a parte gruppi sempre più sparuti di nostalgici, giovani confusi o scarsamente consapevoli del passato, e pochi altri, la maggior parte dei cittadini occidentali dal secondo dopoguerra a oggi abbia lasciato alle spalle e rifiutato le esperienze dittatoriali, considerando la libera espressione del pensiero come un valore fondamentale.
I tentativi di sopprimere le altre voci e inibire la libertà di pensiero successivi alla seconda guerra mondiale, almeno in occidente, si sono brevemente riassorbiti e sono stati poi superati dalla storia.
Ma la dittatura in occidente si è davvero estinta? Oppure si è semplicemente adeguata ai tempi?
Proviamo a immaginare, per un momento solo, che ad estinguersi siano stati semplicemente gli ideali che avevano animato le ultime rivoluzioni e le più recenti dittature mondiali: qual è l’unica costante in tutti i paesi del mondo, dal secondo dopoguerra a oggi? L’unico valore che si è progressivamente andato affermando in ogni paese, inclusi quelli ove per un certo lasso temporale avevano sopravvissuto le dittature tradizionali? I soldi, e, più in generale, l’economia.
Rispetto al passato la ricchezza si è trasformata da fenomeno individuale o limitato a un ristretto gruppo di persone a fenomeno sistemico, che per funzionare presuppone appunto l’adozione di un sistema. Anticamente, e perlomeno fino alla rivoluzione industriale, la ricchezza era strettamente collegata al possesso di terra, o di beni mobili o immobili. Si poteva essere ricchi senza dover ottenere niente da nessuno, poiché tutto ciò che costituiva la ricchezza non veniva elargito o mantenuto da altri, bensì era ereditato o conquistato. Perfino i commercianti si potevano arricchire grazie alla semplice necessità dei beni che vendevano da parte degli acquirenti: cibo, indumenti, e, in misura molto minore, generi di lusso quali decori, gioielli, etc.
Che cosa è accaduto, dunque, nella società contemporanea, e che cosa sta accadendo?
Semplicemente l’economia basata sui consumi. L’età industriale ha spostato completamente le premesse di guadagno, ingigantendole, a condizione che a crescere fossero i quantitativi anziché i prezzi. Sempre più velocemente la società è stata addestrata a considerare dapprima utile, quindi necessario, e infine addirittura naturale e inevitabile, consumare: tutto ciò che prima era destinato a durare una vita intera o quasi è divenuto momentaneo. La plastica rappresenta la sintesi tecnologica di questa mentalità, che si relaziona a tutto in modo effimero: ciò che può essere comodo si deve possedere, a prescindere da tutto il resto, e da quanto durerà.
In breve le necessità sono state soddisfatte, e quindi si è andati oltre, producendo cose tutt’altro che necessarie, ma magari utili. Poi si è superata anche la frontiera dell’utilità, sfociando nell’inutile. A un certo punto le sovrastrutture e le infrastrutture sono diventate più importanti di tutto il resto, e la volontà di farle persistere ha prevalso perfino sull’interesse che poteva essere stato inizialmente preso in considerazione, o perlomeno non del tutto sacrificato: si è arrivati così a produrre e vendere il deleterio, il dannoso. Si è assistito a un paradosso: persone che pagano per danneggiarsi. Persone che sacrificano il proprio tempo in lavori che detestano per ottenere soldi che spenderanno in beni che li danneggeranno.
Ma come è stato possibile arrivare a tutto ciò?
Il processo, che ho deciso di chiamare dittatura 2.0, rappresenta di fatto una imposizione, ma si distingue dalla dittatura 1.0 per il semplice fatto che non è indotta mediante l’adozione di misure coercitive, ma opera a monte della stessa formazione della volontà. I sudditi rappresentano il motore della dittatura 2.0, del sistema economia: senza di loro non è possibile raggiungere lo scopo, cioè l’incremento dei guadagni e l’espansione del sistema economico. In questo sistema le deportazioni di massa o la professione di fede in un regime non sarebbero soltanto inutili, ma addirittura controproducenti. Ecco, dunque, che ufficialmente nella dittatura 2.0 non si limita l’espressione del pensiero, ma si opera su un livello assai differente, cioè a monte stesso della manifestazione del pensiero, incidendo sul momento in cui esso si forma.
DOMANDA: qual è l’unica dittatura capace di sopravvivere a tempo indeterminato?
RISPOSTA: quella che non viene percepita come tale.
Il consumismo rappresenta la moderna dittatura, che trova le sue ramificazioni nella politica, nella sanità, nell’informazione. Tutto è sistematicamente finalizzato a soddisfare una domanda che è creata ad arte.
La politica 60 anni fa aveva bisogno dei fucili per imporre alla società determinati comportamenti e per instaurare regimi restrittivi delle libertà individuali. Oggi è sufficiente inscenare falsi attentati o diffondere ossessivamente informazioni riguardo a quelli veri, e, per contro, tacere su minacce assai più tangibili e concrete.
Basti un esempio: 15 anni di “terrorismo” in Europa hanno mietuto circa 300 vittime.
Un anno di inquinamento umano in Italia ne miete circa 90.000.
Eppure le persone hanno accettato e addirittura rivendicato controlli invasivi, limitazioni alla libertà di circolazione, militari armati nelle strade, fiumi di soldi pubblici spesi e foraggiato partiti che cavalcavano l’onda della “sicurezza”, mentre si sono rese artefici di quello sterminio, che, essendo l’inquinamento ascrivibile proprio agli esseri umani, non solo subiscono, ma addirittura provocano.
Il capolavoro della dittatura 2.0 è aver trasformato tutti i subalterni in complici dei dittatori, e senza che nessuno possa lamentarsi, poiché ciò che i dittatori offrono è esattamente quanto gli viene richiesto.
La vastità del fenomeno, per paradosso, anziché renderlo evidente, lo rende inverosimile agli occhi dei più: “Se tutti fanno così, ci sarà un motivo”. Ma la verità è che la maggior parte delle persone non si pone interrogativi, e quindi non sceglie affatto, ma si limita a imitare o reiterare comportamenti che sono “suggeriti” esternamente.
I dittatori 2.0 non hanno fucili, ma usano semmai pistole con il silenziatore per debellare le minacce. Ma non sono quelle che gli consentono di ottenere e mantenere il potere: è soltanto la volontà dei sudditi che glielo permette.
I politici vengono eletti dalle persone, le industrie vengono foraggiate dai consumi, le banche dai mutui. Tutto poggia su concetti che ormai sono dati per scontati, a partire dal fatto che accesso ad acqua e risorse della terra non sono liberi ma privati e che per il solo fatto di sostentarsi corra l’obbligo di lavorare, guadagnare, spendere soldi.
Nelle dittature tradizionali i dittatori erano noti, e le loro armi altrettanto.
Se vi state chiedendo che faccia hanno i dittatori nella dittatura 2.0, la risposta è nello specchio.