CORONAVIRUS VS. ANTROPOVIRUS

terra

Fra le poche voci critiche che si levano in questo momento, alcune esordiscono con una captatio benevolentiae, cioè una premessa, in genere antitetica rispetto al discorso centrale, volta a rassicurare una adesione perlomeno parziale all’idea unica dominante: c’è un’emergenza. A questa violenza intellettuale non intendo prestarmi: le emergenze contingenti sono quelle culturali, sociali, psicologiche, mediatiche, politiche, economiche e giuridiche. Le emergenze sanitarie sono gravissime, ma croniche, e non hanno nulla a che vedere con il coronavirus.

Con il XX secolo l’uomo si è consacrato quale principale minaccia della sua stessa sopravvivenza.

In un interessante articolo pubblicato nel 2011 sulla rivista Nature, Barnosky e altri studiosi hanno cercato di rispondere al quesito: “La sesta estinzione terrestre di massa è già arrivata?

(https://www.researchgate.net/publication/50267709_Has_the_Earth’s_Sixth_Mass_Extinction_Already_Arrived_Nature).

Un’estinzione “di massa” si verifica, per convenzione, allorchè il pianeta perde tre quarti delle proprie specie entro un periodo “geologico” limitato. La conclusione è stata che “i tassi attuali di estinzione sono superiori a ciò che ci si aspetterebbe in base alle risultanze fossili, evidenziando la necessità di concrete misure di conservazione”.

Gli studi pubblicati dall’ONU attestano che:

–  Il 75% dell’ambiente terrestre (il 66% di quello marino) è stato “gravemente alterato” dalle azioni umane,

– Il tasso di estinzione attuale è da decine a centinaia di volte più rapido rispetto alla media degli ultimi 10 milioni di anni,

–  Oltre il 40% delle specie anfibie è a rischio estinzione,

–  Almeno il 33% degli squali e dei mammiferi marini è a rischio estinzione,

– L’integrità dell’habitat terrestre si è ridotta del 30% a causa della perdita e del deterioramento,

– Il 23% delle terre ha subito una perdita di produttività a causa del degrado ambientale,

–  Il danno economico annuo da perdita di raccolto causato dalla scomparsa di insetti impollinatori è compreso tra 235 e 577 miliardi di dollari,

–  L’11% della popolazione è denutrita (circa 800 milioni di persone),

–  Dal 1992 al 2019 le aree urbane sono raddoppiate,

–  Il 40% della popolazione mondiale non ha accesso ad acqua potabile pulita e sicura,

– L’80% delle acque sporche viene immesso nell’ambiente senza alcun trattamento[1].

Nel 2016 l’OMS ha stimato:

–   15,2 milioni di decessi per cardiopatie e ictus ischemici,

–    3 milioni di decessi per malattia polmonare ostruttiva cronica,

–    1,7 milioni di decessi per cancro ai polmoni,

–    1,6 milioni di decessi per diabete (1 milione nel 2000 = incremento del 3,75 % annuo),

La mortalità per demenza senile è raddoppiata in 10 anni ed è divenuta la prima causa di morte per le donne in Inghilterra e la seconda per gli uomini, colpendo 50 milioni di persone nel mondo, e si prevede che il numero di morti collegate aumenti del 41%, cioè un tasso doppio rispetto a quello delle morti totali (22%).

Si stima che il 13% delle morti umane ogni anno (7 milioni di persone) sia ascrivibile all’inquinamento dell’aria (all’aperto e in casa), oltre a rappresentare una delle principali cause di aggravamento di altre malattie[2].

Nel 2018 i morti nel mondo per tumore sono stati circa 9,6 milioni: i più letali sono stati quello polmonare, seguito da quello colon-rettale e da quello allo stomaco[3].

Nessuna di queste malattie è inevitabile, e tutte quelle derivanti da inquinamento sono esclusivamente ascrivibili ad azioni umane.

Osservando l’interruzione delle attività quotidiane ed economiche di molte nazioni, di fronte al famigerato coronavirus, viene da domandarsi: com’è possibile che non venga considerata un’emergenza mondiale la morte di 7 milioni di individui direttamente causata dall’inquinamento, ma un virus con un tasso di mortalità dell’1% spinga al panico e a contromisure gravissime che vanno dall’isolamento coatto di individui sani alla sospensione della vita collettiva?

Qualunque possa essere la ragione: dalla scarsità di posti in ospedale, alle complicanze, non esiste alcuna possibilità che questo virus possa provocare un numero di morti minimamente paragonabile a quelle provocate dalle azioni quotidiane di ciascun essere umano, e dalla loro somma.

Ad oggi, 17 marzo 2020, si conterebbero 7000 morti nel mondo con coronavirus (secondo l’Istituto Superiore di Sanità in Italia le persone morte per questo virus, e cioè senza altre patologie pregresse, sarebbero 3). Mille volte meno dei soli morti annualmente causati dall’inquinamento dell’aria!

Se, quindi, ci spaventa il coronavirus, e siamo disposti a rinunciare alla libertà di movimento, alla serenità, al lavoro, ai rapporti sociali, umani, affettivi, in nome di questa paura, dovremmo avere il coraggio di guardarci allo specchio e riconoscerci come un virus migliaia di volte più pericoloso, e, quindi, interrompere per tutta la vita qualsiasi azione, salvo mangiare, bere, e respirare.

Ma qualora non fossimo tuttora convinti, poiché continuiamo a “veder morire le persone” e riteniamo di vivere in una situazione di eccezionale emergenza, ci basterà ricordare che, dividendo il numero dei morti nel mondo solo per l’inquinamento dell’aria, per i giorni dell’anno, otterremmo un totale di circa 20.000 morti ogni giorno. Cioè il triplo di quelli conteggiati dall’inizio del “contagio” che tanto temiamo. Per quale delle due situazioni, quindi, dovremmo dichiarare l’emergenza? Quale delle due meriterebbe la paura di uscire di casa o il senso di colpa nel farlo? Ah, a proposito: lo sapevate che quasi metà delle morti per inquinamento dell’aria avviene per la contaminazione degli ambienti domestici?


[1] https://www.un.org/sustainabledevelopment/blog/2019/05/nature-decline-unprecedented-report/

[2] https://www.who.int/health-topics/air-pollution#tab=tab_1

[3] https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/cancer