ALL’INFERNO, MA CON LO SMARTPHONE E UNA BISTECCA

california

     Abituati, come siamo, a preoccuparci soltanto di questioni contingenti e quotidiane, a litigarci 80 euro in più in busta paga all’anno, a cercare capri espiatori cui dare le colpe per tutto ciò che non ci piace nel mondo, i fatti più importanti, come quelli che riguardano il futuro del pianeta e dell’umanità, li ignoriamo completamente. Non fanno notizia. Oppure deprimono, e spingono a cambiare canale. Quindi meglio dissertare di chi ha simulato un fallo in una partita o dell’ultima gaffe del politico di turno.

     Poi, naturalmente, c’è l’economia: che il mondo vada pure in malora, purchè diminuiscano le tasse o non aumenti il prezzo della benzina!

          Con queste premesse nessuno stupore se l’umanità si avvia all’autodistruzione. Anzi, lo stupore riguarda soltanto il fatto che non ci sia già arrivata. Ma le distanze si accorciano in fretta. Ogni giorno.

        Un articolo – in realtà uno dei tanti dedicati alla questione – meriterebbe più attenzione di altri, eppure pare sia passato letteralmente inosservato. O, almeno, a giudicare dall’assenza di reazioni e di cambiamenti di stili di vita, così sembrerebbe.

            Questo uno degli scritti che si sono recentemente occupati di una questione che, se avessimo la reale percezione del senso delle cose, avremmo catalogato come vitale:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/17/clima-nasa-rischio-siccita-california-estrae-acqua-20mila-anni-fa/1510790/

            In sintesi, accade che (sempre più) estese parti del mondo siano divenute e stiano divenendo aride. Intere città (Jakarta, per esempio) sono letteralmente sprofondate di diversi metri a causa del sovrasfruttamento delle risorse idriche del sottosuolo. Lo stato americano della California è condannato all’esaurimento delle risorse idriche entro l’anno prossimo, il 2016, e sempre più case e città sono ormai prive di acqua, mentre già si registrano da tempo furti idrici perfino dagli idranti antincendio. Per continuare ad alimentare la zootecnia la California sta utilizzando acque del sottosuolo da profondità crescenti e, attualmente, si sfruttano risorse costituitesi oltre 20.000 anni fa. Risorse che non si ricostituiranno per altrettanti millenni, dopo essere state utilizzate.

          La causa della siccità è il cambiamento climatico in atto in tutta la Terra, determinato dalle immissioni di gas serra, e circa il 50% di esse deriva dall’allevamento di bestiame a scopo alimentare. L’altra metà, in larga parte, dipende da attività industriali e trasporto.

        Un’altra informazione largamente ignorata è che circa l’80% di tutte le terre coltivabili è destinato all’allevamento o alla produzione di mangimi per animali e che 1 kg di carne di manzo può arrivare a richiedere 53.200 litri d’acqua[1] (contro i 900 necessari per 1 kg di patate).

           Incapace di moderarsi, l’umanità procede senza regole né limiti in una corsa sfrenata verso l’autodistruzione, provocata in primo luogo dalla sete di profitto che allevatori, industriali e commercianti inseguono in ogni parte del mondo, assecondati dall’ottusità e dall’ingenuità delle persone che ormai sono soltanto “consumatori” e che premono con insistenza sull’acceleratore dei consumi.

         La situazione californiana è soltanto uno degli innumerevoli sintomi di ciò che è ormai chiaro da decenni, cioè l’effetto che il cambiamento climatico in atto dagli anni ’50 del XX secolo sta determinando sulle sorti del globo. Ma di questo non siamo spettatori, bensì artefici: siamo noi i committenti di allevatori e industriali, che quotidianamente inquinano e si appropriano di risorse che sarebbero dovute servire a tutti, umani e non, già adesso litigandosi perfino le briciole sulla tavola che, una volta imbandita, presto lascerà a digiuno tutti. E così, mentre in California si preleva acqua preistorica per prolungare di un anno la produzione, in Arizona gli allevatori arrivano a prendersela con le tamerici, additate come responsabili dell’uso di acqua che loro vorrebbero destinare alle proprie produzioni. E la strategia per affrontare la situazione? Immettere miliardi di coleotteri mangiatori di tamerici, che poi regolarmente si sono riprodotti e sono migrati al di fuori delle previsioni degli scienziati[2].

      Cosa possiamo fare, dunque, noi, a parte visitare la California prima del 2016? Semplicemente rifiutare i “doni avvelenati” della civiltà industriale e comprendere che il vero benessere non deriva dal lavorare vite intere per accumulare oggetti inutili della cui necessità abili (avidi) pubblicitari ci convincono quotidianamente, bensì dall’essere liberi e in equilibrio con se stessi e ciò che ci circonda. Sulla necessità di cessare l’uso di animali per produrre “alimenti” è inutile tornare: presto, comunque, sarà l’unica forma di alimentazione possibile, a prescindere da gusti e velleità di ciascuno.


[1] Steinfeld, H., Mooney, H., Schneider, F., Neville, L., Livestock in a changing landscape, Volume 1: Drivers, Consequences, and Responses, SCOPE, Washington, 2010, pag. 102

[2] http://www.ilpost.it/2014/07/15/tamerici-arizona/