DIALOGO SULL’ALIMENTAZIONE (ragioni a confronto) – PARTE III: VEGANO E FRUTTARIANO

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V: che piacere rivederti! Come stai? Quanto tempo è passato? Almeno qualche anno! Dimmi, sei ancora vegano?

F: è un piacere anche per me. Hai proprio ragione: sono quasi 3 anni che non ci vediamo. Nella mia vita sono cambiate un po’ di cose, e, proprio per dirne una rispondendoti, non sono più vegano.

V: sei dunque tornato a mangiar carne?

F: no, affatto. Tutto il contrario semmai: sono diventato fruttariano.

V: fruttariano? Addirittura? Ahah! Ma vorrai mica diventare come quello della barzelletta di Woody Allen, che alla fine non mangia più nulla che proietti un’ombra?

F: be’, a questo ammetto che non ho ancora pensato, ma in fondo non si sa mai, no?

V: scherzi a parte, posso chiederti il perché di questa scelta?

F: be’, è semplice: per gli stessi motivi per i quali ero diventato vegano.

V: non capisco. Non eri forse diventato vegano per rispetto degli animali?

F: Appunto!

V: Bene, ma non riesco proprio a capire: noi vegani non mangiamo gli animali né i derivati, quindi non li uccidiamo direttamente, né li sfruttiamo o danneggiamo indirettamente.

F: ne sei proprio sicuro?

V: certo che sì!

F: hai mai sentito parlare di “deserti rurali”?

V: non mi sembra, ma sono certo che potrai illuminarmi!

F: noto una lieve ironia nelle tue parole, ma spero comunque di poterti dare un’informazione nuova. Con questa definizione si intendono quelle terre sconfinate in cui la presenza di colture, o di molti piccoli coltivatori, oppure di pochi grandi, ha spazzato via qualsiasi biodiversità, qualsiasi habitat, più che dimezzando perfino le specie di insetti, ed inoltre inquinando e contaminando acque, terre e aria con diserbanti, pesticidi, concimi, etc. Insomma, laddove l’uomo rimuove l’habitat e perseguita le specie concorrenti, non può che esserci la scomparsa, l’uccisione e l’impossibilità di venire a esistenza per tutti gli animali, che dall’ambiente traggono tutto il necessario per vivere. Come vegano puoi senza dubbio evitare la morte e l’uso di animali “domestici”, ma i danni dell’agricoltura industriale non sono poi trascurabili quanto a impatto nei confronti di tutti gli animali selvatici.

V: la tua mi sembra francamente un’esagerazione. In questo tuo ragionamento dovremmo tutti vivere in grotte e nutrirci di bacche, per poter rispettare gli animali.

F: no di certo. Sicuramente non esiste una società industriale che possa considerarsi rispettosa degli animali non umani, ed è per questo motivo che essere vegani senza opporsi all’industrializzazione è un controsenso, poiché implica agire soltanto per salvaguardare gli animali domestici, senza preoccuparsi minimamente (oppure, appunto, preoccupandosi solo minimamente) di tutti quelli che vivono in natura e che di questa hanno bisogno per esistere. Ma naturalmente non occorre nutrirsi soltanto di bacche: ci sono molte migliaia di varietà di frutti, che noi usiamo solo marginalmente e spesso neppure conosciamo. E tu, per esempio, non ti batti contro l’uso dell’olio di palma?

V: certo, perché?

F: e dimmi, consideri non vegano o ipocrita quello che, pur comperando alimenti vegetali, usa l’olio di palma, in quanto per far posto a quelle coltivazioni vengono distrutti habitat e uccisi gli animali che li abitano, eppure non consideri un problema la coltivazione della soia o del grano, che pure sono stati e sono realizzati snaturando altri habitat, ma in modo ancor più sistematico ed esteso, su tutto il pianeta?

V: sì, ma vedi, tu stai confondendo una necessità con una velleità. Non è necessario mangiare olio di palma, mentre è necessario usare il grano o la soia, anche perché sono fonti di proteine vegetali molto importanti. Non si può vivere di aria!

F: non di aria, ma di frutta, dovremmo vivere. E non soltanto la frutta dolce, ma anche la cosiddetta frutta-ortaggio: pomodori, peperoni, melanzane, zucchine, peperoncini, etc. Naturalmente senza dimenticare i semi, la frutta secca, etc., anche se sull’uso di questi ultimi non tutti i fruttariani concordano. Le proteine si trovano anche lì, e nelle quantità necessarie all’organismo umano, che è fatto per mangiare frutta.

V: io non credo che siamo fatti per mangiare solo frutta, e comunque il nostro organismo si è adattato a mangiare i cibi prodotti con l’agricoltura da molti millenni.

F: ah ah!

V: qualcosa che ho detto ti ha fatto ridere?

F: in effetti nulla che abbia detto tu, ma semplicemente il pensiero della somiglianza tra ciò che hai appena affermato e il tipico confronto tra onnivori e vegani, in cui i primi sostengono che l’organismo umano si sia adattato a mangiar carne. Ebbene, ti dirò che, considerato che la caccia è antica di centinaia di migliaia di anni, mentre l’agricoltura ha solo poche migliaia di anni, se mai si fosse verificato un adattamento di questo tipo sarebbe assai più probabile che riguardi la carne anziché i vegetali coltivati. Ma ti rassicuro che nessuna di queste due circostanze si è verificata: siamo ancora frugivori e puoi vederlo dai denti, dalla saliva, dalla lunghezza dell’intestino (che è pari a circa 13 volte quella del tronco, come i frugivori), dalla mancanza di sintesi della vitamina C e dalla stessa nostra attitudine e predisposizione.

V: di quale predisposizione parli?

F: è semplice: il tuo istinto, vedendo una spiga di grano, è forse quello di mangiarla? Oppure, forse, soltanto complicati e laboriosi procedimenti consentono di sfruttarlo, alterandone il sapore, e alla fine consumarlo? Insomma, non ti ricorda per caso ciò che avviene con la carne, anch’essa trasformata per poterla consumare, dopo averla cotta e condita alterandone completamente il sapore?

V: be’, ma fa parte dell’evoluzione. Abbiamo imparato a sfruttare alimenti che prima non sapevamo utilizzare, a trasformarli, a migliorarne il sapore e la digeribilità: il pane, per esempio, rappresenta una pietanza fondamentale fin dall’antichità.

F: eppure il glutine, contenuto nel pane, nella pasta, nella pizza e in moltissimi altri alimenti, compresi molti dei surrogati per vegani, è responsabile della produzione di exorfine, peptidi che si comportano come gli oppioidi, creando alterazioni comportamentali, percettive e dipendenza nell’organismo. Ciò senza contare Ehret e la sua teoria sul muco, né i pericoli dell’uso di farine raffinate e la loro immane perdita di nutrienti. L’aumento dei casi di celiachia, cioè intolleranza al glutine, è soltanto la dimostrazione del fatto che non si tratta di un alimento adatto alla specie umana, tanto che aumentandone l’esposizione aumenta di pari passo l’intolleranza o allergia.

V: e quindi secondo te cosa dovremmo mangiare?

F: semplicemente tutto ciò che in natura ci attira, siamo in grado di consumare senza alterazioni o particolari strumenti, e che, soprattutto, non richiede cottura. Insomma, dovremmo mangiare proprio come tutti gli animali ciò verso cui ci guida naturalmente l’istinto, e non verso ciò che, non essendo adatto a noi, richiede sì tante trasformazioni, ma risulta comunque dannoso.

V: ma la cottura è stata un progresso!

F: io non ritengo sia corretto ciò che dici. Ci ha permesso di utilizzare come cibo prodotti che non sono adatti a noi, ma con quali conseguenze? Dovremmo credere che l’uomo preistorico conoscesse gli effetti chimico-fisici della cottura e sapesse che avrebbero fatto bene all’organismo? Certo, usando alcuni prodotti e lavorazioni abbiamo diminuito la quantità di cibo necessaria, ottenendo, a parità di peso, molte più calorie rispetto alla frutta. Ma a quale prezzo? Tutti quei piccoli o grandi disturbi quotidiani che diamo per scontati, perfino tra vegani, discendono dall’uso di certe sostanze, per esempio lo zucchero, nonché dalla cottura, che uccide gli elementi vitali, vitamine in primis, presenti nel cibo.

V: bene, ma se le ragioni sono quelle che prospetti, allora ti preoccupa più la salute che non la vita degli animali, mi pare di capire.

F: non fraintendere, poichè si tratta di questioni differenti, anche se collegate. Il fatto che i vegetali cotti, e in generale le piante coltivate per essere poi tagliate o sradicate non siano adatti alla nostra alimentazione e dannosi per la salute è soltanto la prova che non c’è alcuna necessità neppure nell’utilizzare quei prodotti, e che, anzi, ciò si rivela soltanto dannoso. Inoltre non ricorrere alla cottura significa risparmiare enormi quantità di energia, quindi di inquinamento e di produzione di gas serra: anche questo, avvantaggiando l’ambiente, avvantaggia gli animali e ne salvaguarda l’habitat.

V: sì, ma cosa dire allora della vitamina B12? Anche tu sei costretto a prendere integratori!

F: ti sorprenderà sapere che non è così: la vitamina B12 è sintetizzata dai batteri intestinali, come deve essere: è soltanto la contaminazione dell’intestino con sostanze nocive e il danneggiamento della flora batterica che ne impedisce l’assorbimento da parte dell’organismo. Un corpo in salute, alimentato con frutta e non contaminato da falsi cibi, non conosce carenze di alcun tipo e le sue difese immunitarie sono costantemente elevate grazie al costante apporto di vitamine (C in particolare) garantite dai cibi ancora vitali.

V: sarà, ma mi sembra una forma di alimentazione troppo restrittiva per essere praticata, e poi quando ho provato a mangiar solo frutta per una giornata stavo svenendo.

F: anche questi sono luoghi comuni, e mi sorprende che tu, come vegano, riproponga a tua volta stereotipi simili a quelli dei cosiddetti onnivori. Esistono il gelato fruttariano, i dolci fruttariani, il pane fruttariano, e poi lasagne fruttariane, spaghetti fruttariani, perfino la maionese fruttariana, etc. Naturalmente la quantità necessaria per il fabbisogno quotidiano non può essere considerata quella che siamo abituati a consumare, magari a fine pasto: occorre tener conto del peso della persona e rapportarvi le dovute quantità. Del resto ti dirò che anche l’abitudine di mangiare la frutta a fine pasto è un’assurdità: il nostro apparato digerente da frugivori assimila la frutta, digerendola, in circa mezz’ora, a differenza di qualsiasi altro cibo, vegano o non. Insomma, mangiare la frutta a fine pasto significa che questa si troverà di fronte il bolo alimentare che ne ostacola la digestione, rallentandola, provocandone la fermentazione e quindi la produzione di gas: nulla che ci si augurerebbe!

V: perdonami, ma al di là della questione salutistica vorrei farti una precisazione su quella etica. È vero che l’agricoltura ha un impatto ambientale, ma la maggior parte delle coltivazioni sono volte alla produzione di mangimi animali, quindi essere vegani incide eccome anche su quell’aspetto!

F: hai perfettamente ragione. Non penso affatto che la scelta vegana sia irrilevante, e come sai sono stato io stesso vegano prima di divenire fruttariano, ma ciononostante se devo pensare a un mondo finalmente equilibrato, in tutti i sensi, non posso che pensare a un mondo in cui gli umani si sono riscoperti frugivori, e anche il loro impatto sulla Terra è ricondotto veramente a ciò che è necessario.

V: forse hai ragione, ma quello di cui parli è un mondo che non esiste. Un’utopia! Anche la frutta viene prodotta con metodi industriali, e ha il suo impatto sul territorio e sull’ambiente.

F: certo, ma si tratta pur sempre dell’impatto minimo pensabile, e comunque alimentarsi di frutta significa anche modificare quel mercato per renderlo più rispettoso, sano ed etico, anche per il rispetto delle piante.

V: eccoci… Siamo arrivati alla questione della sofferenza delle piante! Su questo però sono preparato, poiché so bene che non hanno un sistema nervoso centrale e che non soffrono, inoltre non hanno percezione del dolore poiché, come diceva Leonardo, non si muovono e dunque non hanno bisogno di rilevare il pericolo, non potendolo evitare.

F: ah ah!

V: ti ho fatto ridere nuovamente?

F: ecco, in effetti sì. Perdonami, ma questa tua affermazione mi ricorda appieno quel punto di vista che normalmente viene definito “specista”, di chi considera gli animali inferiori agli umani; solo che in questo caso la discriminazione si basa sul fatto che l’oggetto siano le piante. Eppure oggi la scienza ha dimostrato che anche le piante vivono, soffrono, e perfino comunicano: rifiutarsi a priori di rispettare la vita di chi ne possiede in cosa differisce da chi fa strage di animali?

V: ma è assolutamente diverso! Gli animali possono soffrire molto di più e in modi molto più profondi rispetto alle piante, ammesso che queste soffrano. E poi asportandone i frutti forse non le fai soffrire?

F: sulla tua prima osservazione non posso che darti ragione. È sempre meglio scegliere il minore dei mali, ma se si può evitare di infliggerne, allora meglio evitarlo del tutto, no? Invece devo contraddirti quanto ai frutti, poiché essi sono fatti proprio per essere asportati, consentendo alla pianta di propagare il proprio seme e riprodursi. Senza contare che se tutti i frutti cadessero ai piedi della pianta che li produce, le piante nate da essi soffocherebbero la genitrice.

V: insomma, secondo te dovremmo diventare tutti fruttariani per rispettare gli animali, l’ambiente e l’essere umano?

F: come ho detto all’inizio della nostra conversazione, tutte le ragioni che spingono a diventare vegani sono portate a compimento soltanto nel fruttarismo, in quanto essendo questa l’unica forma di alimentazione del tutto benefica per l’essere umano è anche la sola necessaria, nonché quella che ha il minore impatto sull’ambiente, e che, quindi, garantisce il massimo rispetto per tutti quelli che popolano il pianeta. Inoltre è l’unico modo per rifiutare davvero le discriminazioni. Tutte le discriminazioni.