ETEROCENTRISMO UTILITARISTICO ED ETEROCENTRISMO DEONTOLOGICO

Siamo abituati a pensare che quanto più siamo in grado di perorare le nostre rivendicazioni e ottenere benefici nella vita e nella società, tanto maggiore sarà il nostro benessere: al fine di massimizzare i nostri vantaggi tendiamo a minimizzare quelli altrui concorrenti.

Potremmo definire questa prospettiva come egocentrismo utilitaristico, poiché, assumendo quale somma finalità se stessi, si decide di perseguire i propri interessi in via privilegiata rispetto a tutti gli altri: il passaggio logico su cui si fonda, a livello inconscio, questa scelta, è che nella scarsità di risorse o nella competizione per il loro conseguimento, quanto meno conseguono i concorrenti, tanto più resta a nostra disposizione.

Non tutti sono ovviamente egocentrici, o perlomeno non allo stesso modo; tuttavia vorrei precisare che molti, nel considerarsi eterocentrici o altruisti, omettono di considerare la complessità e la globalità dei loro rapporti interpersonali, limitandosi a prenderne in considerazione soltanto alcuni.

Eterocentrismo significa letteralmente porre al centro dell’attenzione l’altro da sé, cioè “qualsiasi” altro: il fatto di anteporre a se stessi un congiunto, la propria famiglia, o gli amici, non rispecchia la definizione.

C’è chi dedica la propria vita ad una causa definita “altruistica”, ma neppure ciò, di per sé, configura un comportamento eterocentrico: se l’inclinazione personale induce a lottare per giovare ad una categoria, anche se l’agente non vi appartiene, non significa che questi ponga “tutti gli altri” al centro delle proprie premure.

Si può prendersi cura di se stessi anche attraverso azioni che, da noi poste in essere per l’appagamento che ce ne deriva, spiegano i loro effetti nei confronti di “altri da noi”: in tal caso questi ultimi sono semplicemente oggetto delle nostre azioni, mentre il vero fine consiste nel perseguimento del proprio interesse. Si può, ad esempio, assistere al telegiornale alla scena di un maltrattamento sui minori, sfruttati per fabbricare scarpe, e rifiutarsi di acquistarle o magari battersi affinchè quel sistema cessi: fare ciò non implica divenire altruisti e premurosi verso “tutti gli altri”, poiché in realtà si persegue un proprio interesse estrinsecantesi nei confronti di soggetti terzi.

Il primo presupposto dell’eterocentrismo è uscire dalla propria prospettiva individuale, dai propri interessi o preferenze, chiedendosi in modo disinteressato quali siano quelli altrui e come favorirli, a prescindere da e nonostante i sacrifici che possa costarci farlo.

Senza comprensione dell’altrui interesse e senza generalizzazione dell’”altro” preso in considerazione, non si può verificare alcun eterocentrismo, ma soltanto forme differenti di egocentrismo.

Chi si dedica con abnegazione agli altri, a tutti gli altri, viene normalmente considerato un animo nobile e altruista, ma ciò che intendo dimostrare è che una condotta eterocentrica non è soltanto un atto di generosità verso il prossimo, ma anche il migliore metodo per massimizzare il proprio benessere in una prospettiva utilitarista.

Il mio scopo non è evidentemente quello di suggerire che si debba agire in modo eterocentrico con egoismo, ma nella lucida consapevolezza che chi agisce per egoismo continuerà a farlo nonostante tutti gli inviti a cambiare del mondo, ritengo sia fondamentale chiarire che anche per questi ultimi la scelta più logica sarebbe proprio quella di divenire eterocentrico.

Immaginiamo due comunità composte da 10 individui:

–        COMUNITA’ A: ciascuno agisce con egocentrismo;

–        COMUNITA’ B: ciascuno agisce con eterocentrismo.

Nella comunità A l’interesse di ogni individuo è perseguito da 1 solo (lui stesso), mentre nella comunità B l’interesse di ciascuno è perseguito da ben 9 individui (tutti gli altri). Ecco che si compie il paradosso, sintetizzabile con questo precetto: se vuoi il massimo benessere, persegui il benessere altrui.

Non è necessario divenire altruista per comportarsi in modo eterocentrico e, anzi, quanto più si ha a cuore il proprio bene, tanto più si dovrebbe perseguire quello altrui.

L’Eusebismo afferma l’eterocentrismo deontologico, che si distingue da quello di stampo utilitarista in quanto non prende in considerazione gli effetti, ma si limita a prendere atto di un dovere morale basato sulla natura delle cose: tanto a livello materiale quanto a livello metafisico siamo tutti collegati. Tutti possiamo notare il collegamento a livello materiale, cioè come noi interagiamo e dipendiamo da altri per esistere e per vivere bene: natura, animali umani e non umani partecipano quotidianamente a realizzare i presupposti della nostra stessa esistenza.

Non ci può sfuggire che ciò che non è funzionale all’ambiente nel quale si trova, ne viene tendenzialmente espulso: subisce un pregiudizio, cessa di esistere o si estingue.

Al livello metafisico si prenderà atto che la divisione è soltanto apparente e che lo stesso concetto di “sé” e “altro da sé” rappresenta in realtà una semplice illusione del mondo fenomenico e che, pertanto, non è corretto scindere gli interessi degli uni da quelli degli altri, risolvendosi qualsiasi danno a chiunque in un danno a tutti.

In quest’ultima accezione perfino distinguere tra “egocentrismo” ed “eterocentrismo” diviene insensato: se non c’è un “io” distinto da un “altro”, non si può neppure considerare separatamente l’unico interesse comune.

In conclusione, sia che si intenda attuare “il bene per il bene”, sia che si voglia fare “il bene per riceverne”, la scelta, in un caso più giusta, nell’altro più conveniente, è sempre quella di adottare un modello eterocentrico.

APPENDICE

Se immaginiamo la circolarità del sistema Terra (o Universo) nel quale siamo inseriti, possiamo distinguere diverse ipotesi:

1)              se ogni elemento omettesse di effettuare qualsiasi scambio (sia additivo che sottrattivo) con gli altri, il circolo non si perfezionerebbe, rimanendo tale soltanto all’apparenza, mentre, da vicino, sarebbe possibile notare che la disposizione degli elementi segue l’andamento di un cerchio, ma senza realizzarlo (fig. 1).

2)              Se ciascun elemento interagisse con gli altri in modo soltanto sottrattivo e, dunque, ricevendo dall’elemento che lo precede, ma senza restituire a questi né al successivo, ugualmente il cerchio non si completerebbe, risultando in una serie di discontinuità di punti alternati a tratti continui (fig. 2).

3)              Al contrario il circolo perfetto si realizzerà soltanto nel momento in cui ciascuno dei suoi elementi (punto) realizzerà l’equilibrio corretto basato sull’equivalenza dare-ricevere (fig. 3).